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La fine del mondo in diretta, e in eurovisione, per il prossimo 10 settembre? Non la si potrà perdere di, sicuro, perché, sostengono alcuni, un piccolissimo buco nero nato a Ginevra potrebbe risucchiare, progressivamente, tutta la materia del pianeta, noi stessi e forse l'intero universo. Un buco nero creato artificialmente, dal grande acceleratore di particelle Lhc (Large hadron collider) del Cern, il laboratorio internazionale di fisica di Ginevra, che appunto il 10 settembre comincerà a far girare nel suo anello di 27 chilometri i primi fasci di protoni, accelerandoli alle velocità del big bang primordiale, per poi farli collidere tra loro, in urti frontali capaci di spezzarli, e quindi di rivelare che cosa c'è al loro interno, forse il segreto della gravitazione e persino di altre dimensioni.
Per Otto Rossler, chimico tedesco, ma anche per Walter Wagner e Luis Rancho questo grande esperimento, costato decenni di investimenti da parte di 20 paesi (6 miliardi di euro) il 10 settembre potrebbe essere il giorno più nero, e definitivo, del genere umano. L'accusa al Cern è di non aver considerato il rischio della creazione, all'atto delle collisioni protoniche ad altissima energia, dei minuscoli buchi neri. E della possibilità che entrino in una traiettoria di crescita esponenziale, praticamente inarrestabile.
Rossler, docente alla Eberhard Karls University, si è pertanto rivolto, con altri colleghi, alla Corte europea dei diritti umani per ottenere, a tamburo battente, un'ingiunzione di stop del grande esperimento. Rifiutata venerdì scorso, ma sul suo ricorso la Corte dovrà comunque pronunciarsi, ed esaminarne la sostanza scientifica entro l'attivazione dell'anello sotterraneo ginevrino.
Wagner e Sancho (il primo un orticultore con studi in fisica, il secondo un teorico abbastanza oscuro) invece già lo scorso aprile si erano rivolti alla Corte di Honolulu (di diritto Usa) con una denuncia analoga. E anche la Corte dovrà emettere sentenza nei prossimi giorni, prima del fatidico10 settembre.
Ambedue i ricorsi però non hanno molte speranze di passare. Già nel 1999 Wagner eccepì gli stessi rischi di fine del mondo per l'esperimento con gli ioni pesanti dell'acceleratore Rhic di Brookhaven (da lui definita come "macchina del Big Bang che avrebbe potuto distruggere la terra") ma, dopo un'indagine difensiva da parte del laboratorio di Brookhaven (e insieme del Cern) scattò anche legalmente la luce verde, e ovviamente nulla di inimmaginabile successe.
In pratica, spiegano i fisici, da miliardi di anni i raggi cosmici, ovvero fasci naturali di particelle estremamente cariche di energia, bombardano ogni millisecondo ogni corpo dell'universo, compresa la Terra e la Luna. La prima può difendersi (in parte) grazie alla sua protettiva atmosfera ma la seconda no. E queste radiazioni entrano nei nuclei atomici, li spaccano, creano per tempi infinitesimi al cosiddetta "radiazione di Hawking", ovvero microscopici buchi neri di durata infinitesimale, ma poi tutto finisce lì. In miliardi di anni nessun evento rilevato di crescita esponenziale indotto da collisioni. Poco a che fare con i veri buchi neri, ovvero l'implosione su se stesse di gigantesche stelle morenti, le supernovae, fino al punto del collasso gravitazionale e la formazione del conseguente buco nero assorbitore di materia.
Questi gli argomenti ripetuti, ormai da anni, dai fisici delle particelle, e ripresi ieri da James Gillies, portavoce del Cern: "Non vi è nulla di nuovo in questo ricorso. Nulla che non sia stato analizzato e già ampiamente confutato in passato".
Spiacerà forse a qualcuno, ma il gran finale che nessuno potrà perdere non andrà in onda il prossimo 10 settembre. Testimone la nostra vecchia luna, con i suoi miliardi di anni onorevolmente portati.
Forse, invece, da quella notte avremo qualche sorpresa e indizio in più, sulle leggi profonde dell'universo in cui viviamo.
CI SIAMO!!!!!!!!!!!!
A Ginevra è cominciato il conto alla rovescia per Lhc, il più grande acceleratore di particelle al mondo alla cui realizzazione hanno contribuito anche molte aziende italiane. Alle 9.30 di mercoledì 10 settembre il primo fascio di protoni compirà un giro completo del gigantesco anello che corre per 27 Km nel sottosuolo, a 100 metri di profondità sul confine tra Francia e Svizzera. Un giro di rodaggio che è l'inizio di un'eccezionale avventura scientifica perché nei prossimi anni questa macchina, costata oltre 6 miliardi di euro, riprodurrà le condizioni iniziali presenti nell'Universo pochi attimi dopo il Big Bang. Lhc farà scontrare due fasci di protoni con energie fino a 7 volte superiori a quelle degli acceleratori utilizzati oggi per osservare le diverse particelle elementari che si formeranno da queste collisioni.
Scopo dell'esperimento è cercare una nuova fisica oltre il «modello standard», l'attuale teoria delle particelle elementari coerente con la scoperta dei bosoni W e Z del Nobel Carlo Rubbia, che mostra però più di un problema nel descrivere la struttura dell'Universo. «Una questione centrale – spiega Fabiola Gianotti, l'italiana vice-responsabile di Atlas, uno dei due rivelatori principali insieme al Cms – è capire che cosa costituisce la materia oscura che costituisce circa il 20% dell'Universo. Nessuna delle particelle spiegate finora può spiegare questa componente misteriosa». Tra le particelle che Lhc dovrebbe immortalare c'è anche il famigerato Bosone di Higgs, la "particella di Dio" ipotizzata dallo scozzese Peter Higgs negli anno 60 per spiegare l'origine delle masse delle particelle elementari, ma mai osservate direttamente.
Una sfida che ha visto in prima fila oltre 50 aziende italiane che hanno sviluppato tecnologie senza precedenti e che dal gennaio 1995 a marzo 2008 hanno assolto a commesse per 336.13 milioni di euro. Una cifra che le pone al terzo posto dopo Francia e Germania, e che nel 2004 e 2005 ha visto le commesse industriali verso aziende della Penisola (88 milioni di euro) superare quelle del Governo italiano al Cern (80 e 79 milioni rispettivamente per il 2004 e 2005), calcolato in base al suo Pil e condiviso con altre 19 nazioni. Certo non sono mancati i grattacapi. «Quello intorno all'Lhc è definito un ambiente "ostile" per il quale è necessario sviluppare componenti in grado di sopportare radiazioni e fortissimi campi magnetici», osserva Franco Vivaldi, vicepresidente della Caen Spa, una Pmi viareggina con 120 addetti da anni leader nell'elettronica per la ricerca fisica, che ha fornito 6.500 moduli elettronici che comandano il funzionamento dei quattro grandi rivelatori, Atlas, Cms, Alice, LhcB e che catturano le particelle sprigionate nell'anello. Un impegno che nel complesso ha rappresentato commesse per oltre 25 milioni di euro nell'arco di 10 anni. Macchine come il maxi-acceleratore richiedono inoltre efficienze analoghe a quelle di una missione spaziale perché una volta sigilliato, l'anello rimane inaccessibile per anni e anche un piccolo malfunzionamento avrebbe costi altissimi di riparazione.
È italiano anche uno dei pezzi di più difficile realizzazione, il magnete dell'esperimento Cms, il più grande rivelatore mai costruito, in grado di immagazzinare un record di 2,6 GigaJoule di energia e pesante come tre boeing 747, che inizialmente ha faticato a trovare un'azienda disposta a realizzarlo. Alla fine è stato completato con successo dall'italiana As-G superconductors, spin-off nel 2001 della genovese Ansaldo, uscita nel 2005. L'azienda genovese si è vista assegnare oltre 130 milioni di euro in commesse industriali dal Cern dal 1995 ad oggi.
«Sono nostri anche oltre 440 magneti di curvatura che coprono un terzo dell'anello insieme a quelli della francese Alstom e della tedesca Noell tedesca», ricorda Ferruccio Bressani, amministratore delegato di Asg. Ma le gare molto selettive del Cern sono state anche un'occasione per i piccoli. È il caso della Tosti, un'azienda di Castelpiano (Grosseto) che ha prodotto un componente essenziale per i magneti del mega-acceleratore, i cosiddetti spaziatori di testa costituiti da materiale composito lavorato in cinque direzioni con grande precisione. Un biglietto da visita che ha già attirato i francesi di Areva o Alstom, solitamente poco inclini a rivolgersi agli italiani. La lucchese Luvata, ex-Europa Metalli, è entrata nel settore medicale della risonanza magnetica grazie alle tecnologie sui cavi superconduttori messe a punto per le macchine dell'Lhc ed è ora tra i primi fornitori dell'americana General Electric. La ricerca di frontiera si è rivelata quindi un buon affare per l'industria italiana e non deve far paura, nemmeno se qualcuno parla di buchi neri. «Non c'è nessun pericolo nello spazio intorno a noi – sottolinea Gianotti – ogni secondo la Natura, con i raggi cosmici, effettua 30 miliardi di esperimenti con la stessa energia dell'Lhc».
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"Il tempo per leggere e per scrivere,come il tempo per amare,dilata il tempo per vivere." Daniel Pennac