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14/01/2009 09:23
 
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Buona lettura
-kay- BOSCO IN CITTÀ

Lorena si trovava lì, nei guai fino al collo, con un cadavere da far sparire! Non poteva muoversi, poteva solo restare lì ad aspettare e a far finta di nulla, in attesa che la gente se ne andasse, poco alla volta. Poteva solo rimanere ferma, intrappolata, a pensare e ripensare a tutte le conseguenze. Le veniva in mente tutto e il contrario di tutto. Di una cosa era certa: quella situazione in un modo o nell’altro le avrebbe per sempre stravolto la vita. E le venne anche in mente, che in fondo, tutto era cominciato da una innocua, stupida domanda, balenatagli in testa anni prima: “Ma che differenza c’è tra un pino ed un abete?” Lei, che prima di “inurbarsi”, era nata e poi vissuta molti anni in collina, circondata da alberi e boschi, davvero non lo sapeva! Risolta quella questione, era poi nata tutta una serie di altre domande del tipo “ma che albero è?” ogni qualvolta si trovava di fronte ad una forma sconosciuta piena di foglie, di rami e di radici.
Ora si rendeva conto di quanto quella prima, banale domanda, fosse stata fondamentale per cambiarle la vita allora, ed ancor più adesso... Certo i cambiamenti erano iniziati poco alla volta, infatti per seguire la sua nuova passione, aveva abbandonato la vita sedentaria da impiegata ostinatamente single. Prima aveva cominciato a coltivare piante in casa, sulle finestre, sui balconi. Poi ad andar per boschi e per parchi (sia in città che al vecchio paese, dove c’era la casa dei suoi), con i libri di botanica in mano a guardar le piante, a raccogliere le foglie, i fiori ed i semi, a catalogarli. Oppure partecipando agli eventi, come quello sull’agricoltura bio, avvenuto appena la settimana prima, sulle antiche piante da frutto, che però non venivano più coltivate, ma che erano tutta una riscoperta! Ormai gran parte della materia non avevano più mistero per lei, riconosceva tutto, persino le piante rare e quasi sconosciute. E poi quale entusiasmo ad immergersi nel verde! E quale entusiasmo vedere, ad ogni stagione, i cambiamenti della natura. Abbandonarsi a quel perpetuo andare e venire, a quel riflusso costante, a quei continui mutamenti nel ritorno stagionale. La consapevolezza del tempo che passa, visibile sotto i suoi occhi, anziché rattristarla come una volta, la faceva sentire più viva e partecipe del tutto. La sua Milano, che comunque ancora amava, la città nella quale aveva studiato e si era laureata, dove viveva e lavorava, le pareva ormai lontana, insignificante, piccola. A volte addirittura sentimenti di commozione la coglievano nell’osservare la natura. Non capiva più come gli altri facessero a vivere, senza neppure accorgersi, a primavera, del maggiociondolo dai grappoli giallo splendente e dal delicato profumo. O delle foglie palmate degli aceri, rosseggianti controluce nel cielo azzurro d’estate. O delle dorate foglie del ginkgo, ventagli svolazzanti nel vento d’autunno. Insomma quei piccoli particolari che riempiono la vita e che la vita di città, ormai, non fa quasi più notare. E poi aveva anche incontrato Roberto, che faceva jogging tutte le sere, lungo il naviglio, di fianco al parco. Ormai si frequentavano da un po’, anche se non era ancora diventata una cosa seria…
Lorena si riprese bruscamente dalle divagazioni delle mente. Adesso doveva pensare a cosa fare! Aveva un cadavere tra i piedi, da far sparire. Mancava poco alla sera, le ombre si stavano allungando dalla cima degli alberi, creando forme inquietanti sui prati. Il parco era molto tranquillo, si stava svuotando, la gente se ne andava poco alla volta per la cena. Ancora qualche ciclista sbucava da una pista, per sparire velocemente verso la direzione opposta. E pensare che quei due, la prima volta, li aveva incontrati proprio lì: il signor Gino e la badante dell’est, Ludmila dal dolce sguardo azzurro ed acquoso. Abitavano vicino e spesso lei lo accompagnava a prendere un po’ d’aria nel verde. Il signor Gino, sempre così gentile, era morto anche lui! Anche lui probabilmente stecchito per colpa di Lorena! Ma ora doveva star lì e continuare ad aspettare, fingere di leggere, con il cadavere vicino, a raffreddarsi; e mentre aspettava doveva concentrarsi, pensare ad una maniera per liberarsene, ma immancabilmente tornava a pensare a come era cominciata tutta quella storia...
...Quando Lorena tornava dalle esplorazioni nel Bosco in Città, si fermava spesso in quella zona del parco, in quell’area attrezzata per i picnic: lì poteva riposarsi, bere un po’ d’acqua alla fontanella e prendere il sole. Lì, li aveva incontrati tante volte, anche loro a fare una passeggiata e... poco a poco, avevano fatto amicizia, come con Roberto. Ludmila era una donna sui quarantacinque, alta ed energica. Faceva la badante in Italia da parecchi anni e si occupava del Gino da più di tre. Dopo circa una decina di mesi quei due si erano sposati; ma la cosa non stupì Lorena, nonostante la differenza di età, perché aveva già sentito tante storie di matrimoni simili. Probabilmente lui, che era tutto solo, senza parenti, aveva trovato un modo per garantirsi una assistenza a vita; lei invece si era assicurata un permesso di soggiorno, una bella casa ed una discreta rendita. Non condannava Ludmila per questo, e poi del resto, a parte accudire al vecchietto, non doveva essere stato un gran sacrificio; Lorena infatti era quasi sicura che quel matrimonio non fosse mai stato consumato. L’amicizia fra le due donne si un poco alla volta consolidata: spesso lasciavano il signor Gino, sulla sua carrozzella, a farsi un pisolino, al caldo sole del tardo pomeriggio ed andavano nel grande bosco vicino al parco; Lorena era entusiasta nel fare partecipe l’altra del mistero della natura, nello svelarle le proprietà delle piante, lei che era diventata un’appassionata erborista. Però avrebbe dovuto accorgersi dell’interessamento di Ludmila verso certi fiori, verso certe piante…
Dopo alcuni mesi dal matrimonio si era notato che nella coppia qualcosa non andava, anzitutto, le loro venute al parco, si erano fatte molto più rare; non solo, comprensibilmente, nei mesi freddi, ma anche adesso, che era piena primavera. Poi spesso il Gino sembrava catatonico e Lorena era quasi certa che la mogliettina gli somministrasse forti calmanti. Quando era sveglio, era sempre molto gentile, ma gli occhi erano spesso velati da uno sguardo triste; però non lo aveva mai sentito lamentarsi. Inoltre, una delle ultime volte che si erano incontrati, Lorena aveva notato, addosso al povero vecchietto, segni di percosse; ma si era ben guardata dal fare domande imbarazzanti. Infine un’altra volta, quando Ludmila era andata al chiosco, per una bibita, il signor Gino era riuscito a lamentarsi dell’uomo che si era installato a casa loro; Ludmila diceva che fosse suo fratello, che lo voleva ospitare per un po’ di tempo, ma Gino non ne era molto convinto.
Infine il signor Gino era morto, per infarto, avevano detto. Lorena non aveva prove, ma, dentro di sé, era profondamente convinta che ci fosse lo zampino di Ludmila. E si sentiva anche un po’ responsabile: non era forse stata lei, a spiegare a quella donna, l’effetto cardiotonico della digitale e di altri fiori? Comunque non la poteva accusare di nulla, perciò fece buon viso a cattivo gioco, andò al funerale e continuò con faccia tosta a fingere di essere amichevole ogni volta che incontrava Ludmila, perché la donna frequentava ancora il parco, ci veniva ogni tanto a passeggiare ed a prendere il sole.
Dentro di se però Lorena non si sentiva a posto con sé stessa, perciò quando, dopo alcuni mesi dalla morte di Gino, Ludmila le disse che si sarebbe risposata, con uno del suo paese, Lorena trattenne a stento la rabbia. Decise che in qualche maniera gliela avrebbe fatta pagare, un piccola vendetta per essere stata usata così; e poi almeno lo doveva, al povero signor Gino, sempre così caro con lei.
Si sa che la vendetta è un piatto che si serve freddo. Quindi, molte settimane dopo, visto che Ludmila, dalla pelle così pallida, si era scottata prendendo il sole, Lorena le aveva preparato una specialità erboristica, una fantastica pomata doposole. In realtà, assieme ad erbe emollienti e rinfrescanti, ci aveva messo dentro un atroce mix di erbe irritanti, che sulla pelle arrossata avrebbe fatto faville. Ma Lorena non avrebbe mai immaginato che Ludmila volesse provarla subito! E soprattutto non avrebbe mai immaginato che la donna ci restasse secca! Probabilmente si era presa uno shock anafilattico, a causa di una di quelle erbe. O forse aveva sbagliato le dosi, del resto c’erano anche erbe un po’ tossiche, in quell’intruglio! Era bastato un attimo, poche convulsioni e amen, addio Ludmila.
Il primo istinto di Lorena era stato quello di svignarsela, prendere le sue cose, soprattutto la pomata incriminata …e via. Ma troppe persone le avevano viste assieme quel pomeriggio! Chiamare soccorso e fingere che le era capitato un malore? Ma se poi facevano un esame tossicologico al cadavere? No, no! Meglio di no!
Quindi si era messa lì ad aspettare, aveva piazzato il cappello in faccia a Ludmila, come se si fosse addormentata; mentre lei, invece, aveva cominciato a fingere di leggere ed a pensare, a pensare e ripensare a come cavarsela...e a come era cominciata tutta quella dannata storia.

Finalmente era giunta la sera, il via vai era cessato, l’ultima persona era passato da quasi mezz’ora e adesso Lorena pensava di potere agire con tranquillità. Comunque aspettò ancora per una ventina di minuti, nel caso capitasse qualche ritardatario. Il parco doveva aver chiuso da un po’, ma per lei non era un problema uscire, scavalcando la cinta, per raggiungere la sua macchina. Altre volte le era capitato di essere in ritardo e di dovere uscire così. Tanto i custodi se ne fregavano, non li aveva mai visti allontanarsi molto dal loro chiosco, all’entrata. Il vero problema era che doveva far sparire il corpo, così nessuno avrebbe mai potuto risalire a lei. Se mai qualcuno fosse arrivato ad interrogarla, lei avrebbe semplicemente detto che si, quel pomeriggio… aveva incontrato Ludmila; avevano passeggiato un poco assieme, ma poi, come sempre, ognuna era andata per la sua strada. Del resto non si erano praticamente mai frequentate al di fuori del parco e non esisteva alcun motivo per cui lei dovesse avercela con quella donna, insomma, si sentiva al di sopra di ogni sospetto. Con tutto quel pensare per ore, aveva già escogitato come fare. Si alzò in piedi, raccolse tutte le sue forze e con enorme fatica trascinò il cadavere sul prato, fino alla riva del laghetto, quindi lo spogliò completamente. Con i lacci delle sue scarpe, legò attorno al corpo diverse pietre piatte, lo avrebbe gettato nell’acqua, che era sempre melmosa ed al centro doveva essere profonda almeno due o tre metri, se non di più. Sperava che non venisse mai ritrovato, ma anche se fosse, sperava non venisse mai identificato, grazie magari ad un bel po’ di mesi di putredine. Era per quel motivo, che tutti i vestiti e gli effetti personali di Ludmila, che si era infilati nel borsone, li avrebbe gettati in diversi cassonetti, all’altro capo della città.
Era ormai passato il tramonto, l’aria cominciava ad essere frizzante, mentre il cielo stava passando dal celeste al violaceo, ma ci sarebbe stato chiaro per almeno un’altra ora. Nel fitto del bosco gli uccelli diurni si stavano ritirando e facevano sentire i loro ultimi versi; mentre, sulla sua testa, gli storni facevano i loro ultimi giri spettacolari, in alto nel cielo; invece le papere del laghetto erano sparite, forse avevano avuto sentore del dramma che si stava consumando e non avevano voluto prendervi parte.
Lorena percorse tutta la sponda del lago, fino al piccolo pontile di legno, sul lato opposto; staccò uno dei pedalò, che erano legati lì, vi saltò sopra e quindi iniziò a pedalare con vigore, per raggiungere il corpo di Ludmila sulla riva.
‘Stupida! Stupida! Stupida!’ iniziò a dirsi, mentre si avvicinava. Perché le venne in mente che le pietre avrebbe dovute legarle solo dopo averla issata sul pedalò… Non prima! Adesso sarebbe stata troppo pesante. Saltò perciò sulla riva e con enorme pazienza cominciò a slegare tutti quei nodi. Quindi avvicinò il pedalò e con uno sforzo sovrumano vi issò sopra il cadavere. Naturalmente scivolò nell’acqua gelida e si bagnò fin quasi alla vita. Ma pazienza, perché, girandoci attorno, riuscì a sistemare ancor meglio il peso morto. Quindi ricominciò a legare le pietre una ad una, stringendole bene attorno al collo, alle braccia ed alle gambe. Era esausta! Con un altro sforzo si arrampicò sul pedalò e comincio a dirigerlo verso il centro del laghetto.
Quando pensò di aver raggiunto un punto abbastanza profondo, cominciò a spingere il cadavere in acqua, ma sul quel pedalò traballante, non era semplice, se voleva evitare di ribaltarsi. E naturalmente quel corpo maledetto doveva incastrarsi! Imprecando sottovoce, Lorena si sporse, cercando di liberare la corda e di spingerlo giù. ‘Come cavolo ha fatto ad annodarsi così!?’ pensò. Ma quando sembrò che finalmente fosse riuscita a districarlo, ecco sentire un qualcosa tirarlo dall’altra parte! Verso la profondità. Alla donna venne quasi un colpo e saltò all’indietro spaventata, cercando di aggrapparsi. Ed ecco subito un altro strattone! Che quasi rovesciò il pedalò. ‘Ma cosa diavolo è!?’ pensò adesso. Il pedalò aveva fatto quasi un mezzo giro su se stesso e, per il peso del corpo, ora pendeva tutto da una parte. Lorena angosciata, scrutava la superficie dell’acqua, tutto attorno a lei, non osando neppure fare un’ipotesi. Infine, con un ultimo colpo, la corda venne strappata ed il cadavere trascinato giù; il tuffo fu seguito, subito dopo, da un tremendo gorgoglio di bolle, che increspò la superficie dell’acqua; accompagnato da un odore nauseabondo.
Agghiacciata, Lorena cominciò vigorosamente a darci dentro con i pedali. In un baleno andò a sbattere contro la riva, saltò giù e cominciò a correre a perdifiato, senza guardarsi indietro, ma senza neppure guardare la direzione, bastava allontanarsi da quella cosa! Corse e corse, finché, esausta, non si lasciò cadere sulla soffice erba del prato, a riprendere fiato. Dopo alcuni momenti di fiatone, si guardò attorno e notò che si era fatto quasi buio, però sapeva esattamente in che punto si trovava; ‘porca paletta!’ pensò, invece di dirigersi alla recinzione più vicina, era corsa verso il bosco! Adesso ci avrebbe impiegato più tempo, ma non aveva assolutamente intenzione di passare di nuovo vicino a quel dannato lago; piuttosto che ripercorrere quella strada, decise che, per andarsene, avrebbe fatto un lungo giro sul sentiero interno.
Perciò si alzò ed iniziò a seguire alacremente il sentiero, che attraverso il largo prato occidentale, dalla parte opposta del lago, l’avrebbe portata alla recinzione sulla strada. Era sempre più scuro ed una luna a tre quarti, era chiaramente visibile ad est, sopra le cime degli alberi. Il bosco era vicino, con i suoi rami che si allungavano verso il prato, con le sue ombre e gli animali che si nascondevano ed emettevano i loro versi. ‘Ecco, quello doveva proprio essere un gufo!’ pensò la giovane donna. Cercò di scacciare ogni timore, del resto era già stata lì, quando si era fatto buio. E poi lei non era mai stata molto suggestionabile, però quella sera…dopo tutto quanto era successo… chiunque sarebbe stato preda della più fervida immaginazione…
Difatti cominciò a provare la netta sensazione di venire osservata. Forse erano solo gli uccelli notturni, tra i rami… Comunque allungò il passo, resistendo all’idea di voltarsi, per vedere se c’era qualcuno…o qualcosa. Purtroppo il grande prato era finito e se voleva seguire ancora il sentiero, doveva per forza passare in mezzo agli alberi. E la sensazione di essere osservata persisteva! Ma ormai aveva ripreso fiato ed era pronta a ricominciare a correre, quando le parve di udire una flebile voce: “…aspetta! …non temere!”
Si bloccò di colpo terrorizzata, pronta a scattare di nuovo in una corsa sfrenata. Si voltò, si girò tutto attorno, ma non vide nulla. “Ti ho chiesto di aspettare …Da me non devi temere nulla, non avere paura” La voce adesso era più chiara, anche se ancora debole, era una voce femminile. Intanto una leggera brezza le sfiorò dolcemente la pelle, le sollevò i capelli. Le vennero i brividi, ma facendosi coraggio chiese. “Chi… chi sei? Fatti vedere…”
La brezza divenne più sostenuta…sollevando foglie e polvere dal terreno “Ah!…voi piccoli uomini…se non vedete… non credete mai…” si sentì dire. Poi, proprio sul sentiero davanti a lei, il vento fece un mulinello, attirando la polvere, attirando i vapori dalla bruma che cominciava a salire, lungo il bordo del bosco. Ed ecco formarsi una figura, trasparente e leggera…ma sempre più definita, man mano che migliaia di piccole particelle si addensavano e trovavano la loro collocazione…davanti a lei ora c’era l’immagine di una dolce e cara vecchina, appoggiata ad un bastone, dallo sguardo penetrante e saggio.
“Va meglio così?” le chiese “O forse mi preferiresti in un’altra maniera?…eh, eh, eh!” Ed ecco la figura farsi più imponente, la vecchina diventare una bellissima giovane donna, dalle chiome fluenti che le scendevano lungo le spalle. Una donna sicura di sé, autorevole ed altera.
Lorena era impietrita, e allo stesso tempo incuriosita: “Co…Cosa sei?”
“Tu mi conosci, ma non lo sai…tante volte ti sei seduta sotto i miei rami. Sono lo spirito della rovere, che si trova proprio dietro alle tue spalle…”
“E…e che cosa vuoi da me? Spi…spirito della rovere?” chiese Lorena sempre più intimorita.
“Anzitutto ti chiedo di non avere paura, rilassati. Mi sono manifestata proprio perché non volevo perderti” si sentì dire, mentre lo sguardo della figura sembrava addolcirsi “Tu mi sei cara. Dopo quello che è ti successo stasera, sapevo che non avresti mai più voluto tornare qui al parco, voglio convincerti che, invece, non hai nulla da temere”
“Ma…ma... giù al lago…”
“Oh…quello…è stato solo lo spirito del vecchio salice, sai… il grande salice sulla riva del lago, non so se voleva aiutarti…ma di certo ti ha fatto un bello scherzo! Eh? Ti ha quasi fatto morire di paura…” Le disse, trattenendo un sorriso.
“Eh già…” le rispose Lorena, digrignando i denti, in quello che sperava potesse sembrare un sorriso, mentre le gambe ancora le si scioglievano come gelatina; naturalmente non le era per nulla passata la voglia di scappare via… o almeno di urlare spaventata, per scaricare la tensione. Ma seppe trattenersi…ancora per un po’…
“Allora mi prometti che tornerai a trovarci? Non abbandonare questo parco ed il bosco. Sono poche le persone che vengono qua e che ci amano come te. La maggior parte degli uomini ci passano accanto e quasi non ci degnano di uno sguardo. Tu invece ci osservi attentamente e ci apprezzi, prendi in mano le nostre foglie, accarezzi dolcemente la corteccia…”
“Ma…ma tutte le piante hanno uno spirito?” le chiese Lorena.
“Oh si, certo…solo che i piccoli fiori, le piccole piante… ne hanno uno talmente leggero e flebile, che non riuscirebbero mai a manifestarsi. Io invece, lo sai, sono molto vecchia” e così dicendo la figura tornò a quella precedente “ho quasi cinquecento anni. Ogni anno che passa divento più forte e più forte diventa la mia capacità di manifestarmi.”
“Mi raccomando però…” continuò lo spirito della rovere “non raccontare mai a nessuno ciò che ti ho rivelato…a parte il fatto che… probabilmente non ti crederà nessuno e ti prenderanno per pazza…”
Lorena pensò di esserlo già diventata, comunque proseguì a domandare: “Quindi…intendi dire che… tutte le piante di una certa età…che sono qui…”
“Esatto, cara mia…potrebbero venire qui, a parlarti, proprio come sto facendo io adesso …ma non penso siano interessati…anzi so già che dopo, molti di loro, mi faranno la predica, per essermi immischiata negli affari degli uomini…scusa ma per me è un grande sforzo mantenere questa forma visibile, fatta d’aria e polvere …ti spiace se la rilascio? Poi continueremo a parlare?” e così dicendo, la forma si dissolse velocemente davanti a lei.
“Volevo dirti un’altra cosa…” si sentì quindi sussurrare Lorena nell’orecchio, da una leggera brezza che le sfiorava la pelle “Quello che hai fatto a quella donna, è stato un incidente…non sentirti troppo in colpa…anche perché avevi ragione…lei non era affatto innocente.”
“Intendi dire che avevo ragione nel sospettarla?”
“Ma certo!” le sussurrò lo spirito “l’ho osservata io stessa, è venuta a raccogliere le piante che ha usato per avvelenarlo”
“Oh!” venne in mente a Lorena “ma anch’io raccolgo spesso le erbe…se ci sono degli spiriti in ciascuna…”
“Non ti devi preoccupare per questo” la rassicurò la rovere “è nella natura delle cose, del ciclo a cui, noi tutti, anche tu, siamo legati…le piccole piante, soprattutto quelle annuali, hanno appena la consapevolezza di esistere…e rivivono velocemente nei loro semi, che spargono sui prati…”
“Eh voi?” esclamò Lorena, adesso consapevole di una tragedia.
“Ormai sono millenni che l’uomo non è più un semplice animale, in mezzo agli altri…” rispose un po’ amara la rovere… “accanto a noi è cresciuto, si è evoluto, come dite voi…si è impadronito di ciò che lo circondava, prima con timore e rispetto, adesso senza neppure più quello…ma ormai è da così tanto tempo che noi piante conosciamo il rischio di venire tagliate, schiantate, fatte a pezzi dall’uomo…come prima lo eravamo solo dal vento, o dai fulmini o dagli incendi… posso solo dire che ci siamo un poco abituate… anche questo è il ciclo… speriamo almeno di fare in tempo a spargere anche noi i nostri semi… per dare vita ad una nuova generazione…”
“Ma non provate a ribellarvi?”
“E cosa potrebbe mai fare, un povero spirito d’albero, contro una scure di ferro…o una motosega? Solo le più antiche e potenti di noi, hanno la forza di parlare e di mostrarsi, come ho fatto io…ma l’uomo è ormai sordo… solo pochi hanno ancora l’amore per ascoltarci…come te, mia cara…”
Continuarono a conversare ancora per molto. Ma alla fine Lorena, visto che ormai era diventata notte fonda, si congedò, con la promessa di tornare presto. Ma prima di tornare a casa a dormire, si ricordò di spargere con cura, nei cassonetti di mezza città, gli effetti personali di Ludmila.

Lorena mantenne la parola, anche se con molta titubanza, soprattutto le prime volte; tornò dunque al parco, come faceva prima, per poi fermarsi spesso, verso sera, a chiacchierare con lo spirito della rovere, tante volte fino a notte inoltrata. La rovere per lei divenne così una carissima amica ed una maestra, grazie a tutta l’esperienza accumulata nella sua lunghissima vita. Grazie ai suoi insegnamenti diventò ancor più brava nell’uso delle erbe e lasciò il suo noioso lavoro di ufficio per dedicarsi a quello di naturopata. Ma prudentemente, Lorena si tenne sempre lontana dal lago e dal suo antico salice. Invece, dagli altri spiriti del bosco, non ebbe mai alcun segno. Di sicuro però, quando adesso si aggirava tra le piante, le vedeva sotto tutta una nuova luce. Chissà se un giorno avrebbe avuto il coraggio di raccontare questa incredibile storia a Roberto, presto si sarebbero sposati e non le sembrava giusto tenerlo all’oscuro, ma aveva promesso allo spirito di mantenere la segretezza, e temeva che lui la prendesse davvero per una pazza.
Infine, dopo quasi un anno, Lorena venne a sapere che il nuovo marito di Ludmila, ancora installato a casa di Gino, era stato arrestato per la scomparsa della donna e per una serie di altri reati. Dopo che il cadavere di Gino venne riesumato e gli venne fatta una accurata autopsia, quell’uomo confessò di essere stato complice nel suo assassinio, ma si disse sempre innocente a proposito della scomparsa di sua moglie: credeva che era scappata da qualche parte, con qualche altro uomo.
Nessuno venne mai a chiedere nulla a Lorena, mentre il corpo di Ludmila giace ancora laggiù, in fondo al laghetto delle papere …e del salice.

You can never know everything,
and part of what you know is always wrong.
Perhaps even the most important part.
A portion of wisdom lies in knowing that.
A portion of courage lies in going on anyways.


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