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14/01/2009 10:29
 
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AAAKK - Un lungo viaggio

Stamattina ho visto un robot. Non so come faccio ad esserne sicuro ma sono sicuro e questo basta.
Era in metro insieme a me, non nel senso che eravamo insieme, ma facevamo lo stesso tragitto; non tutto ma un bel pezzo.
Secondo i miei calcoli, approssimando veramente poco grazie ad un’esperienza maturata in molti anni di servizio, sono sicuro che fosse un robot.
A dirla tutta sembrava una “lei”; era molto tranquilla in apparenza, anche se l’apparenza spesso inganna, e non aveva capelli ma una fascia sulla testa e le sopracciglia disegnate.
Forse andava a lavorare.
C’era tanta gente nel vagone: forse dei robot, forse altro, ma questo non è importante. L’importante è che io non andavo al lavoro.
Non sarebbe una notizia fondamentale questa se a raccontarla fosse uno qualunque, ma lo diventa visto che a raccontarla sono io.
In tanti anni di onorata carriera ho sempre adempiuto al mio dovere, e se la memoria non m’inganna, non sono mai stato assente. Il che non è proprio sicuro giacchè la memoria ogni tanto qualche scherzo me lo fa.
Faccio ancora fatica ad ammetterlo e l’ho sempre fatta, ma il tempo è volato e io non ho potuto fare a meno di subirne le conseguenze.
Non vado a lavorare perché non è più tempo per me.
Dicono che mi sono fatto vecchio, che non sono più utile alla società, che sono un pezzo del secolo scorso, un nonno. Ma io non lo ammetterò mai, sia chiaro; finchè avrò forza non sarò mai vecchio.
Lei invece sembra così tranquilla, energica, che quasi mi fa invidia. Eccola lì con le sue scarpette da ginnastica e le cuffie alle orecchie, un mare di emozioni in piena.
Ma che cosa faranno mai queste emozioni… tutti emotivi, tutti pieni di sentimenti… ai miei tempi non c’era bisogno dei sentimenti; bastava fare quello che c’era da fare e passava la paura. Che risate la paura… io non so cosa sia la paura. Ma poi paura di che? Non è molto meglio vivere senza paura?
La gente dentro al vagone va a farsi gli affari propri, sprofonda il naso tra le pagine del giornale, silenziosa, sonnolente, viva… Bella la vita, eh? Ragazza robot? Bella la tua vita… In mezzo ai tuoi simili, nella gioventù, nel dolore… Ti piace? Ti trovi mai a piangere di dolore? Non lo provi? E che provi?
Sembra di sentire parlare mio padre…
Sto qui, seduto, curioso e carico di un sentimento impotente che se ricordassi come si chiama, io… io… Altro che vecchio! Il Vecchio ha stretto la mano al vecchio secolo e tra vecchi… ve l’ho servito bello e pronto, cotto a puntino per essere gustato fino all’ultimo attimo.
E tutto questo per sentirmi così… vecchio.
La metro cammina, fa le sue belle fermate, gente che scende, che sale e lei, ragazza robot, mi sta seduta davanti con la sua aria apparentemente tranquilla che gioca col labbro inferiore… no, non è una cicatrice, è una ragazza robot, non so a cosa serve quel taglio.
Non l’ho mai imparato, non lo ricordo, non me ne frega niente.
Non lo ricordo! Eppure lo sapevo!
Nessuno guarda nessun altro in faccia due volte: è la regola della metro.
Ognuno sale in metro per andare chissà dove ed è come fosse solo.
Io sono seduto già da qualche fermata e non accenno a violare questa regola se non con un’eccezione: la ragazza robot.
Sta ancora lì e guarda a terra, catturata da chissà quale diavoleria futuristica. Mi sento un po’ razzista.
Una volta eravamo tutti diversi ma fondamentalmente tutti uguali: era una sorta di squadra nel passato… mi sono morso la lingua accidenti a me! Perché penso queste cose! Prima mi lamento se mi considerano vecchio e poi mi relego a pezzo di antiquariato!
Sembra di sentire mio padre!

Sto in questo vagone puzzolente da un po’ e quello non mi ha tolto gli occhi di dosso un momento.
Mi sento molto a disagio così squadrata continuamente dalla testa ai piedi.
Non ha mai visto una in chemio? Mica l’ho voluto io! Mica l’ho voluti perdere io tutti i capelli! Non è una moda! E la mia fottuta fermata non arriva mai.
Almeno sotto la metro ognuno si fa gli affari suoi; tutti affamati di notizie da quando i giornali sono ovunque. Non ho i loro occhietti curiosi addosso ogni momento.
Quanto odio sentire quegli sguardi pietosi chiedersi quale Dio avrebbe mai punito una ragazza così giovane. Ma che punizione! È la vita! E poteva capitare a tutti.
E’ capitato a me, beh, pazienza, ce ne faremo tutti una ragione.
E quel tipo non mi toglie i suoi occhi di dosso.
È strano, non saprei dargli un’età, ma saprei cosa dirgli! Oh se lo saprei!
Mi sto mordendo il labbro fino a farmi male, a sentire il segno dei vecchi punti dolermi come fossero ancora freschi.
Lo faccio ogni volta che sono innervosita da qualcosa. Vado all’ospedale. Forse riuscirò a raccontarlo un giorno.
La medicina fa progressi. Ora posso solo sperare.
Vorrei un figlio un giorno.
Vorrei dimenticare tutto questo e farmi accarezzare i capelli. Vorrei, vorrei, vorrei…
Intanto vorrei uscirne in piedi, poi si vedrà.
Maledetta questa metro; sembra che ogni due fermate torni indietro di una…
Perché non c’è un minimo di rispetto in quell’uomo? Voglio solo andare a farmi riempire di radiazioni e sperare di riprendere la vita da dove l’ho lasciata.
Chiudo gli occhi, sento la musica, volo col pensiero dove gli occhi di quell’uomo non possono trovarmi, in ogni più nascosta fantasia, dove nessun uomo qua dentro può sperare di trovarmi.
Incontro qualcuno nei miei ricordi; qualcuno che ricorda ancora quanto erano lunghi i miei capelli.

Ciao ragazza robot, ancora su questo vagone? Nooo, non ci sei già da un po’! Ti vedo ancora seduta davanti a me ma chissà dove ti hanno portato i tuoi circuiti… chissà cosa stai provando… Darei qualunque cosa per saperlo. Qualunque cosa. Peccato che non ho nulla.
Forse solo i ricordi, qualche frammento del pezzo di vita che mi appartiene che si chiama passato.
Le fermate cambiano e io mi sto quasi convincendo che essere vecchi è solo un altro punto di vista. Coi tuoi poteri vorrei che ti alzassi, mi mettessi la mano in testa e mi facessi provare quello che provi tu.
Per me le emozioni sono come i fantasmi: dicono che esistono, c’è chi ci interagisce ma c’è anche chi non riesce proprio a comprenderli.
Non sono reali, non per me.
Sono vecchio, neanche questo riesco a comprendere.
Invece tu quanti anni hai, ragazza robot? Non lo so, non ti so dare un’età. Per quanto mi riguarda potresti essere anche più vecchia di me. Chissà quante cose ricordi…
Sicuramente più di me che ho la memoria che comincia a dare segni di cedimento.
Eppure una volta andava forte! Era la mia specialità.
La memoria serviva a dare la speranza. Era il mio lavoro. Davo la speranza a chi era lì lì per perderla.

Mentre pensavo se era il caso di vivere ogni giorno come fosse l’ultimo, sentivo lo sguardo di lui addosso.
Era fastidioso interrompere pensieri del calibro di speranza o non speranza a causa di uno sguardo, ma era così.
Il treno viaggiava con la calma dell’impazzita routine che accompagnava la vita di ogni giorno, ma davanti la realtà dei fatti, la mia realtà, la vita di ogni giorno aveva un significato diverso. Una fascia, un cappello, una siringa, ora non avevano più lo stesso peso.
Rivoglio indietro la mia vita, proprio com’era prima. E non c’è più tristezza ne delusione perché la speranza, o meglio, la voglia di sperare ancora danno valenza alla vita stessa.
Ogni tanto mi trovo a soffrire più per le persone intorno a me che per me stessa.
Sento tanti casi di errori medici fatali e tutta la gente lì a puntare il dito contro… ma col cavolo! Con me non ha sbagliato nessuno! E rido al pensiero di essere ancora viva!
Per quanto non lo so, ma tanto vale godersela tutta!
Tu chi sei? Mi stai ancora fissando.
Non hai mai visto una come me? Forse destinata ad una fine precoce…
Chissà cosa vedi che desta così tanto la tua attenzione… perché mi fissi, chi sei?
Non so neanche io cosa vedo in te, sembri assente, dove stai andando, che cazzo hai da guardare?
Sei vivo?

Ora non penso più a lei ma i miei occhi sono fissi.
Ragazza robot, tu la speranza ce l’hai ancora. Io forse non ce l’ho più.
L’ho portata in giro così tanto tempo, ne ho regalata così tanta che ora non ce ne ho più per me.
La memoria mi fa brutti scherzi, ma questo me lo ricordo bene. Era la mia specialità.
Forse hai vissuto più di me. Fino a ieri o meglio, un po’ più di ieri, sapevo far sorridere. Ora non so più come si fa. La memoria fa brutti scherzi.
Ho preso tante volte la metro, andavo in giro, facevo il mio lavoro, portavo la speranza. Non ho visto guerre, non ho visto niente.
Eravamo tutti simili. Ognuno faceva il suo. Ognuno si occupava del suo piccolo, aveva l’occupazione che lo rendeva vivo, o quasi.
Io portavo la speranza.
La società era perfetta proprio perché ognuno faceva il suo. Non c’era spazio per le emozioni. Non ce n’era il bisogno. Però tutto era perfetto; una macchina bel oleata. Perfetta.
Ma questo forse tu lo sai già, ragazza robot.
Sai che io porto la speranza? Tu lo sai cosa è la speranza?
In ogni caso non è un problema. Io porto la speranza.
Ora tutto ha ricominciato ad andare a tempo. Il treno corre e tra un po’ sarò arrivato a destinazione.
Sono troppo vecchio per lavorare quindi andrò dove non mi troverà più nessuno. Meritato riposo. È la cosa più difficile portare in giro la speranza.
Non so cosa devo fare oggi eppure lo sapevo… la memoria si sa,….
Non c’è spazio per le emozioni.

Basta. È arrivata la mia fermata. Lo strazio è finito. Proprio ora che non mi guardava più… era da tanto che nessuno mi fissava così… quasi mi dispiace… ma presto tornerò ad essere me stessa e non avrò più paura.
Avrò quello che per qualche tempo ho pensato di non poter avere più. Ne sono sicura.
Addio uomo che non ha mai smesso di fissarmi mentre scandagliava le mie emozioni. Non ti rivedrò mai più. La mia vita andrà avanti senza di te, senza il tuo sguardo sulla mia pelle. Non saprò mai cosa pensavi, mi hai guardata fino all’imbarazzo, ma forse non sai la cosa più importante.
Come hai fatto? Quando sono salita sulla metro avevo paura, lo ammetto, una grande paura.
Ora sto scendendo e ho qualcosa di più che non so come, mi hai infuso proprio tu: la speranza. Non ho più paura. Ho in me la speranza di tornare ad essere me stessa e non c’è fascia, cappello, siringa o cura che mi toglierà la voglia di vivere.
Non avrei mai pensato di dirlo.
Grazie, chiunque tu sia.

Tra poco arriverò alla mia fermata. Non c’è più nessuno davanti a me. Chissa dove stavi andando, ragazza robot. Sono sicuro che non ti rivedrò più. La tecnologia è andata avanti, ma io sono diventato vecchio. Non volevo che tu scendessi dalla metro perché non so come tu abbia fatto, ma mi hai ricordato cose che la memoria aveva offuscato in me.
Ora ricordo tutto.
Sono diventato troppo vecchio, la mia memoria spesso va in tilt. Non è più tempo per me.
Devo essere riciclato. So cosa mi è mancato in tutta la mia esistenza e ora l’ho capito, forse proprio grazie a te. Eravamo una squadra nel passato; ognuno faceva il suo e rendevamo questo fragile mondo umano un po’ più umano. Proprio noi che di umano non avevamo niente. Solo un mucchio di rotelle con una fragile memoria e un grande potere: ricordare ad ogni umano che possedeva delle emozioni che doveva accudire. Noi non le avevamo e proprio per questo riuscivamo nel nostro dovere. Bastavano pochi minuti per infonderle. E poi erano per sempre. Ora lo stanno capendo tutti.
Il mio compito qui è finito. Non servo più. Sono diventato vecchio. La società non ha più bisogno di me, di questo vecchio uomo robot.
Nessuno si ricorderà di me. Ho paura. Finisce qua, mentre negli ultimi momenti della mia vita ho imparato a provare un’emozione.
Addio ragazza; ho lasciato a te la cosa più importante che avevo. La speranza.


You can never know everything,
and part of what you know is always wrong.
Perhaps even the most important part.
A portion of wisdom lies in knowing that.
A portion of courage lies in going on anyways.


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