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26/01/2009 17:40
 
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Parte I
Demandred - L'Oracolo

Colle Del Cervo era un paese con meno di tremila abitanti arroccato sui Colli Albani. Abitato fin dal nono secolo, fu un piccolo feudo della famiglia dei Frangipane prima, dei Savelli poi, ed infine dei Farnese; il susseguirsi di tante famiglie della cosiddetta "aristocrazia nera" non aveva però impedito che oggi il borgo risultasse tanto piccolo ed anonimo da non essere nemmeno segnato nella maggior parte delle mappe.
Osservando dalla piazza del paese il maschio centrale del vecchio castello medioevale, Andrea Di Stefano sospirò: lei era vissuta per ventitrè anni in quell'angolo dimenticato d'Italia, costretta ad andare a studiare a Roma fin dalle scuole Superiori, e per questo e mille altri motivi lo odiava; la vita in un paese era piatta e, talvolta, rivoltante, dato che lì c'erano pochissimi locali, ancor meno divertimento e, quel ch'era peggio, tutti si conoscevano tra di loro. Lei stessa era una vittima di quel tipo di vita, a partire dal suo nome: Andrea, ovvero "uomo forte", era un nome maledettamente maschile, ma per distinguerla in quel paese composto da pochi, diffusissimi cognomi, i suoi genitori avevano ben pensato di seguire la moda estera ed utilizzarlo per la loro figlia.
Andrea distolse lo sguardo dal castello, aggiustandosi nervosamente una ciocca dei suoi neri capelli mossi che le pendeva dalla fronte, ricacciandola entro la retina di finte perle che le raccoglieva la chioma: un ornamento assurdo, ma in quell'ultimo scorcio d'estate in paese erano soliti esibirsi in una festa in costume, e dato che Enrico, il suo ragazzo, era tra i promotori della manifestazione, quest'anno c'era stata incastrata anche lei. Irritata anche con lo stupido uomo, un maledetto nostalgico d'un passato che non sarebbe più tornato - anche se non sarebbe dovuta essere lei a dirlo, dato che all'Università studiava Storia Medioevale -, scoccò un'occhiata al vestito che aveva addosso: se i suoi occhi avessero potuto incendiare, quella lunga veste color bronzo, ricamata da motivi di rami e foglie color oro, si sarebbe incenerita all'istante.
<< Tieni ancora il broncio nonostante la manifestazione sia ormai finita, Rea? Sinceramente, non me lo sarei mai aspettato da te. >>
Andrea sussultò istintivamente, ma un attimo dopo guardò, rossa in faccia - era sicura di esserlo - la proprietaria di quella voce dallo strano accento: Jennifer Berger era una ragazza afroamericana pienotta, i capelli neri raccolti in treccine imperlinate ed un sorriso perennemente stampato sul volto. Giunta da Saint Paul, negli Stati Uniti, un anno addietro per studiare in Italia l'arte Romana, aveva preso alloggio a Colle Del Cervo per evitare i prezzi alti degli appartamenti di Roma, e per tutto il periodo era stata la principale attrazione del paese. Oltre ad essere diventata una sua carissima amica, ovviamente. Andrea si rammaricava che sarebbe tornata a Saint Paul il mese successivo, e la consolava poco il sapere il suo indirizzo laggiù.
<< Eppure dovresti essere la prima ad essere felice d'infilarti in quegli abiti. >> Proseguì, imperterrita, la statunitense. << Perchè, poi, hai scelto di studiare Storia Medioevale, Rea? Fino a quando Rico non ci ha tirato in questa manifestazione, credevo che tutto ciò che riguarda il medioevo fosse un qualcosa di sacro, per te. >>
<< A me interessa la storia medioevale, Jenny, è vero, ma nella storia accade maledettamente qualcosa. >> Le rispose prontamente Andrea, senza ormai far caso al nomignolo che la ragazza le affibbiava; per Jennifer era una cosa inconcepibile non chiamare gli amici per soprannomi, ed a lei nemmeno dispiaceva il suo: meglio essere chiamata come un’antica divinità Greca, piuttosto che “uomo forte”. << Ma in questo angolo di mondo qui, forse è già tanto se c'è mai stata un'impennata del prezzo della lana in mille anni, e questo costituirebbe il dato più interessante maledettamente ricavabile! >> Concluse, dunque, con più d'una punta di veleno tra le parole; fin da bambina, complici le storie del ciclo arturiano, s'era appassionata alla storia medioevale, ed era stata un'enorme delusione constatare la piattezza totale della storia del suo paese natale, un'anonima roccaforte perennemente fuori dalle guerre intestine romane, un maledetto angolo di mondo i cui i vecchi aristocratici si rifugiavano per passare piacevolmente l'estate.
Guardando la giovane statunitense - s'era voluta vestire anche lei, nonostante non si fosse mai vista una nobildonna afroamericana a Colle del Cervo, ed il suo abito era verde scuro con radi motivi floreali - Andrea concluse il suo sfogo con una smorfia, agitando la mano per accantonare l'argomento, e riprese a parlare con più calma.
<< Lasciamo perdere, per favore, Jenny. Piuttosto, hai chiamato gli altri? >>
Jennifer aveva una capacità impressionante di stringere amicizie, ed era diventata in poco tempo l'anima degli incontri ai pochi bar del paese: qualunque rimpatriata passava per il suo telefono cellulare; Andrea, dal canto suo, voleva prendersi una sbronza tale da dimenticare cos'era stata costretta ad indossare. A quella domanda, comunque, Jennifer allargò ancora di più il suo smagliante sorriso.
<< Non ce n'è bisogno, Rea: dieci minuti fa Rico mi ha avvicinata, dicendomi che aveva già organizzato una serata di bevute con gli altri ragazzi del paese. E' palese che abbia capito che a te non sia affatto piaciuto l'essere stata coinvolta nella manifestazione; non vorrai perdere l'occasione per riconciliarti con lui, vero, Rea? >> sorridendo, la ragazza pienotta prese Andrea sottobraccio; era più bassa di lei di metà testa, e la giovane aveva a malapena un'altezza media. << Su, seguimi: l'appuntamento è a Le Oche Capitoline. >>
Letteralmente trascinata via dall'amica, Andrea lasciò insieme a lei Piazza del Municipio, il centro del paese, per inserirsi in quell'intrico di strade tipiche di un borgo medioevale; dopo circa dieci minuti di cammino, le due entrarono in un rustico locale sulla cui vetrata erano ritratte delle oche starnazzanti. Lì dentro, in fila lungo il bancone, Andrea trovò il gruppo di amici che era solita frequentare in paese: Maicol, un ragazzo smilzo dai castani capelli arruffati, i cui genitori avevano avuto idee onomastiche peggiori di quelle dei suoi; Francesco, alto, biondo e con gli occhiali, sempre perso nei suoi pensieri; Serena, sua sorella, anche lei bionda, i capelli lisci che le superavano le spalle, una ragazza dal carattere focoso; Elisa, figlia d'un muratore, dai cortissimi capelli neri e con una parlata tale da far arrossire suo padre, nonostante fosse una delle persone più colte che Andrea conoscesse; Giovanna, dai ricci capelli castani e con degli occhiali, come al solito assorta nel leggersi un qualche libro; Dario, i capelli neri tirati su dal gel, un tipo sempre attivo, tanto che ora stava giocherellando con uno stuzzicadenti, probabilmente per ammazzare il tempo; infine, sulla sedia più lontana da lei, Enrico, i capelli castani tagliati a spazzola e dei bellissimi occhi verdi, alto e robusto. In genere, gli avrebbe sorriso come una sciocca, ma quella sera gli scoccò invece un'occhiata furente: non avrebbe dimenticato facilmente il modo in cui l'aveva praticamente spinta a forza a partecipare alla festa in costume.
<< ...Finalmente! E' un fottuto quarto d'ora che v'aspettiamo, voi due!! >> Sbottò Elisa, vedendole entrare. << Hai perso tempo a bestemmiare gli schifosissimi santi, Andrea? Giuro, diventerai una storica capace di far vomitare il pranzo di Natale in estate ai sassi, tu. >>
All'accenno di Elisa ai santi Don Alessandro, il sessantenne parroco del paese, seduto con degli amici al tavolo dietro di loro, sussultò visibilmente; Andrea sorrise: era un bene che Elisa si proclamasse atea, in caso contrario la Curia avrebbe voluto la sua pelle.
<< Non divorarla così, Elisa. >> S’intromise pigramente Francesco, come al solito apparentemente assonnato. << Ci conosciamo fin da bambini, e sappiamo tutti il perché di questo suo atteggiamento; in ogni caso, sono sicuro che la cosa non pregiudicherà il suo futuro. >>
Fuori dal mondo, ma sempre gentile con tutti: Andrea gratificò Francesco con un sorriso, per questo; forse incoraggiato dal suo umore apparentemente calmo, Enrico si sporse dal bancone.
<< Andrea, mi dispiace per come l’hai presa…voglio dire, speravo che ti saresti divertita. >>
<< Intelligente quanto un asino bastonato, come sempre. >> S’inserì acida Elisa. << Sei una schifosa fogna di ragazzo, se speravi che lei dimenticasse che si trattava d’una rievocazione del passato di questo buco puzzolente di posto. O mi verrai a dire che non sapevi che Rea odia tutto ciò che ha a che fare con questo Colle Del… >>
<< Grazie mille, Lisa. >> La interruppe prontamente Jennifer: tutti loro conoscevano i vizi di linguaggio di Elisa ma, evidentemente, temeva che i vecchi ai tavoli avrebbero scatenato un putiferio per quelli troppo pesanti. E non c’era dubbio che Elisa non stesse per dire “Colle Del Cervo”. << Rea, che ne diresti se ci sedessimo tra Lisa e Gianna? >>
<< Ottima idea, Jenny. >> Rispose Andrea; con Enrico avrebbe fatto i conti più tardi. Giovanna quasi sussultò, quando le si avvicinarono: in genere era sveglia, ma il leggere la estraniava dal mondo esterno peggio di Francesco; comunque fosse, le due ragazze si sedettero ai lati delle amiche.
<< Andrea a parte, >> prese inopportunatamente a dire Maicol << è stato un magnifico revival, Enrico, forse il migliore degli ultimi anni: complimenti, davvero. >>
Andrea cercò di fulminare lo screanzato con gli occhi, ma finì con l’osservare i suoi vestiti: un abito da signorotto medioevale, una lunga veste rossa bordata d’oro con bottoni del medesimo colore; presa da un improvviso sospetto, guardò gli altri – prima era stata troppo presa da Enrico per farci caso -, e vide i suoi dubbi confermati: Elisa e Giovanna erano entrambe vestite in lunghi abiti da dame medioevali, la prima con un vestito blu con ricami d’oro, la seconda con uno nero dai ricami d’argento. Gli altri, Enrico compreso, erano vestiti normalmente, ma quei tre bastavano per capire cosa ci fosse sotto: a parte lei, che era rimasta come una scema a farsi verde di bile all’ombra del castello, gli altri avevano avuto tutto il tempo per cambiarsi d’abito, ma non l’avevano fatto; indignata, fissò furiosa Jennifer, che le sorrise di rimando, mormorando: << Certe volte, per superare un blocco psicologico bisogna portare il paziente ad affrontarlo frontalmente, non credi, Rea? >>
Andrea non rispose: si sentiva troppo abbattuta per fare qualunque cosa; in quel momento, quasi a proposito, il proprietario de Le Oche Capitoline, il vecchio Mario, un cinquantenne calvo con i baffi brizzolati, s’avvicinò a loro due, le uniche del gruppo a non aver ancora ordinato qualcosa.
<< Prendete qualcosa, ragazze? >>
Andrea non si lasciò sfuggire l’occasione: << Cuba libre, grazie. Due bottiglie. >>
Il vecchio sollevò un sopracciglio, ma non disse nulla: un cliente era un cliente, per lui; ottenuta quindi la sua bevanda alcolica preferita, Andrea se ne versò di fila due, tre, bicchieri, svuotò presto la prima bottiglia ed iniziò la seconda: l’aveva detto, dopotutto, di volersi sbronzare, e più che mai ne era decisa dopo la “terapia” di Jennifer; al diavolo la “terapia” di Jennifer, piuttosto.
Non si ricordava bene quando accadde, ma mentre svuotava le seconda bottiglia fu presa dal sonno e s’accucciò sul bancone, la faccia sulle braccia, addormentandosi in pochi attimi.

********************


Quando riprese i sensi, Andrea si sentì la testa pesante, affondata su un morbido cuscino; nel risvegliarsi, fu sempre più conscia d’un forte dolore alla nuca, come se fosse stata colpita di recente da qualcosa. Strano, si disse, non si ricordava affatto d’aver subito qualcosa del genere.
Con un certo sforzo, s’impose d’aprire gli occhi, certa di vedere così le pareti bianche della sua camera: se aveva la testa poggiata su un cuscino, voleva dire che si trovava nel suo letto, tanto più che era certa d’essere supina; invece, nell’aprirsi, i suoi occhi colsero, oltre alla luce mattutina, alcune sagome umane indistinte, sagome che subito s’agitarono e presero a parlare.
<< S’è svegliata. >> Constatò una voce profonda, sicuramente d’un uomo.
<< Buon segno. >> Proseguì un’altra, rauca, forse d’un vecchio. << Era davvero da tanto che non accennava a riprendere i sensi. Confesso d’essere sollevato. >>
<< Sì, un’ottima cosa. >> S’intromise una calma voce femminile, sicuramente una giovane donna. << Tacciamo, però, ora: la sua testa certo non gradirà il brusio di troppe voci. >>
Andrea cercò di drizzarsi sulla schiena, disorientata: non riconosceva quelle voci, ed era anzi certa di non averle mai udite in vita sua; imponendosi di focalizzare la scena che le si parava davanti, qualunque fosse, si guardò intorno. Non era in camera sua, questo era certo: era adagiata su un letto a baldacchino dalle tende e lenzuola rosse, all’interno d’una stanza piuttosto ampia, dalle pareti di pietra; la finestra spalancata di fronte a lei indicava un cielo terso ed estivo, e sotto di essa c’era un caminetto spento, attorno al quale, sedute su delle poltrone rosse, sedevano tre persone.
Doveva essere all’interno del castello, si disse osservandole, non c’era altra spiegazione: lì seduti stavano, infatti, un uomo di mezza età, capelli e barba brizzolati, vestito di cotta di maglia e con una sopraveste di lana rossa avente ricamata sopra una barca color bianco ed oro, un vecchio rinsecchito, calvo e dalla candida barba bianca, vestito con un lungo abito di lana grigia, ed una donna bionda di circa vent’anni avvolta in un lungo abito azzurro ricamato di bianco, del merletto lungo i polsi; dati i vestiti, concluse Andrea, dovevano essere attori del revival del paese, che forse l’avevano soccorsa dopo che era stata accidentalmente colpita da qualcosa. Eppure lei era certa d’essersi addormentata ubriaca al bar.
A spezzare il filo dei suoi pensieri fu il vecchio, che s’alzò e si diresse verso di lei quasi timidamente.
<< Chiedo perdono, mia signora. >> Le disse, la stessa voce rauca di prima, forse addirittura servile. << Dopo che sei stata colpita da una delle pietre scagliate contro la città dalle catapulte degli assedianti, dietro richiesta del capitano Minthean sei stata trasportata qui, al castello; il capitano sapeva che io ero già stato chiamato qui per il principe, così ho potuto occuparmi anche di te. >>
<< Avendo visto i tuoi abiti, ho concluso che tu facessi parte del seguito del principe, mia signora. >> Intervenne allora il soldato brizzolato dalla sua poltrona. << Qui a palazzo, però, ho potuto constatare che nessuno ti conosca; la principessa Elyanirith ha quindi deciso d’ospitati finchè non ci fossimo potuti accertare della tua identità. >>
A queste parole, la giovane annuì graziosamente, i capelli lisci raccolti a coda di cavallo da un fermaglio d’argento a forma di farfalla, oltre il quale diventavano mossi. Andrea decise che si trattava della principessa in questione.
<< Quindi, non per volertene male, ma ti pregheremmo di farci conoscere il tuo nome, mia signora. >> Concluse timidamente il vecchio.
Andrea non volle ragionare molto su quello strano quadro, data la pesantezza che sentiva in testa: capitani? Principi e principesse? Assedi? Od era uno scherzo, o…come aveva detto, non voleva pensarci sopra, non ancora; le parve però educato presentarsi.
<< Sì, io…il mio nome è Andrea Di Stefano, e…>>
<< Antayaelin. >> Mormorò la donna che Andrea supponeva fosse Elyanirith, il tono a metà tra lo stupito e l’interessato.
<< Questo spiega molte cose. >> Tubò felice il vecchio, sorridendo apertamente.
<< A partire dalle ottime vesti che indossa. >> Puntualizzò il soldato – Minthean? -, l’unico che sembrava rimasto poco colpito dalla notizia.
<< Assomiglia al ritratto di mia nonna che c’è ad Anor Dion, ora che la osservo bene: lei era di Gorya. >> Aggiunse la donna, come se la cosa fosse indicativa. << A questo punto, immagino che non ci siano più dubbi sulla sua identità; anzi, suppongo di dover salutare mia sorella come si conviene. >> Concluse, sorridente e raggiante.
Andrea non capì: che cosa s’erano messi a vociare, e cos’era quel “antayaelin”? Lei aveva detto solo…Nye, ai…Emoreth Antayaelin aya semne. Sì, io…il mio nome è Donna Forte Figlia Dell’Incoronato, ecco cosa aveva detto!!
Sbattè le palpebre, estremamente turbata: cos’era quella lingua con la quale aveva appena risposto, una lingua che quei tre avevano pure compreso? Anzi, s’accorse, quei tre avevano sempre parlato in quell’idoma, fin da quando lei s’era risvegliata, e non se n’era nemmeno accorta fino ad ora!!
S’afferrò la mani, intrecciandole sul grembo. Non era di certo italiano – era palese -, né una qualunque lingua di questo mondo, almeno non di quelle che aveva studiato. Eppure, sapeva parlarlo.
<< …Sorella? Emoreth? >> Andrea, pur senza volerlo, sussultò nuovamente all’insinuarsi di quella voce gentile e preoccupata, la voce della principessa., la donna che credeva d’essere sua sorella. Sorellastra, in verità: “antayaelin” era il nome che ricevevano i figli naturali del re di Damer, e quella Elyanirith era sicuramente una figlia legittima. Poi, le era chiaro che quel “Donna Forte Figlia dell’Incoronato” fosse semplicemente la trasposizione del suo nome nel suo significato originale, a parte una licenza: “Andrea” significava “Uomo Forte”, mentre la trasposizione che aveva utilizzato, “Emoreth”, significava “Donna Forte”. Un cambiamento che, ad essere sincera, le faceva piacere: aveva sempre odiato quel significato del suo nome.
Andrea fu molto colpita da quelle informazioni, tanto da non accorgersi per qualche attimo che erano giunte dal nulla; dopodiché, resasi finalmente conto del fatto, sussultò vistosamente: che cosa significava tutto ciò?!?
<< Mi sembri tesa. Ed assente. >> Proseguì la donna – Elyanirith -, il volto evidentemente preoccupato: era chiaro che il turbamento di Andrea le fosse ben visibile, benché ovviamente la principessa non ne indovinasse il vero motivo. << Ti senti poco bene? Il maestro Emadnin può nuovamente controllare la tua nuca, se ti fa ancora male: è il miglior insegnante di medicina della scuola del Diridenne, e ti assicuro che sa il fatto suo. >>
A quest’affermazione, il vecchio sorrise timidamente. Quindi era un insegnante della scuola locale – naturale che lo fosse: gli unici medici di Damer erano insegnanti, i soli di cui la gente si fidasse, studiosi che finanziavano i loro studi e si guadagnavano da vivere tramite l’insegnamento ed i servizi ai privati -. Un’altra informazione intrusiva. Andrea avrebbe voluto urlare: quello non era affatto il suo mondo!! Sperando che si trattasse d’un sogno, riuscì in qualche modo a reagire: sentiva istintivamente che sarebbe stato sicuramente controproducente tacere oltre, ovunque fosse finita.
<< Io…Vostra Altezza non è bene che si disturbi per una come me. Stavo solo pensando a quanto disturbo v’ho arrecato. >>
<< Sciocchezze. >> Replicò la donna, sorridente, alzandosi. << Piuttosto, Emoreth, chiamami pure Elyanirith: ho solo fratelli maschi, e non permetterò che una mia sorella, anche solo per parte di padre, mantenga le distanze con me. >>
Non era affatto oltraggiata della prospettiva che suo padre avesse avuto una figlia naturale, osservò Andrea; ovvio, in realtà: anche se il legame matrimoniale rimaneva sacro, a Damer un uomo non era biasimato se aveva figli illegittimi, a patto che li mantenesse a sue spese. Guardando cosa indossava – aveva gli stessi abiti del revival, solo impreziositi dal fatto di essere in vera seta, questa volta -, Andrea intuì che tanto buone vesti avevano indotto Elyanirith a credere che suo padre l’avesse mantenuta economicamente in modo egregio. Un’ennesima notizia giunta da chissà dove. Andrea s’impose di non farci più caso, esasperata.
<< Forse è meglio che parliamo un poco in privato, Emoreth. >> Riprese a dire Elyanirith. << Capitano Minthean, potete tornare ai vostri incarichi. Maestro Emadnin, la richiameremo se ci fosse nuovamente bisogno di lei. >>
Era un chiaro congedo, ed i due uomini subito s’avviarono verso la porta di legno robusto e ferro alla destra di Andrea, uno mormorando << E’ stato un onore. >> E l’altro << Con permesso, mie signore…>>
Dopo che i due furono usciti, Elyanirith non tardò a sedersi ad un’estremità del letto, sorridendo complice ad Andrea.
<< Quasi mi dispiace d’averti incontrato in questa situazione, Emoreth. Quasi. Anzi, spero che tu accetti di diventare una delle mie dame di compagnia: mio fratello è a dir poco tedioso, mentre mio marito…bè, Diras è un uomo magnifico, ma l’assedio mi permette di godere assai poco della sua compagnia. >> Concluse con un sospiro.
Marito? Quindi Elyanirith era già sposata, nonostante le giovane età; ma la cosa non era affar suo, si disse. Anzi, sogno o meno, Andrea decise di capire meglio dove si trovava.
<< Vostra Altezza…no:Elyanirith. >> Iniziò. << Io…temo di non ricordare bene cosa è accaduto nei giorni scorsi. E’ stato il colpo alla testa, forse. Di che assedio state parlando, se posso chiederlo, e come mai dei principi lo stanno subendo? Ci sono stati forse screzi tra Sua Maestà e voi? >>
Elyanirith sbattè le palpebre, ed il suo sorriso fece posto allo stesso sguardo preoccupato che aveva avuto anche prima, quando Andrea era rimasta muta, scioccata da quelle informazioni intrusive che ancora non aveva capito da dove provenissero: pareva davvero che la donna l’avesse a cuore quanto una sorella, s’accorse stupefatta.
<< Tu…Non credevo che fossi stata colpita tanto forte. >> Rantolò la principessa, tastando delicatamente la nuca di Andrea. << Richiamerò Emadnin al più presto, te lo prometto. Per il resto…Sarebbe pericoloso per te uscire da questa stanza senza sapere nulla, quindi ti dirò tutto. Ma preparati a sentire cattive notizie, Emoreth. >>
Detto questo, Elyanirith ritirò il suo braccio, e nel contempo si morse il labbro inferiore ed abbassò gli occhi; rimase quindi un minuto buono così, guardandosi le mani poste nel grembo, simile ad una bambina sperduta; era evidente che fosse accaduto qualcosa che l’aveva ferita nell’animo, ed Andrea fece quasi per dirle che non era necessario parlarne, quando la donna uscì dal suo mutismo. << Papà è morto, Emoreth. Cinque mesi fa. I medici che lo hanno curato mi hanno detto che è morto d’un brutto male, uno di quelli che nemmeno loro sapevano come curare. Io l’ho visto morire…sembrava soffocare, sorella! >> Concluse Elyanirith con voce rauca, una lacrima che le scendeva lungo il viso.
Hadil, figlio di Hiril, era stato il quarto re di Damer, sovrano per soli sette anni; era morto a cinquantadue anni per un cancro ai polmoni. O almeno, era questo quel che un disperso angolo del cervello di Andrea fece sapere alla donna. Cinquantadue anni erano una buona età, per quell’epoca, ma Andrea suppose che perdere un genitore fosse sempre doloroso.
Ricordarsi appena in tempo di dover fingere che l’uomo fosse stato anche suo padre, Andrea assunse subito un’espressione colpita.
<< Oh… >> Articolò insicura, non sapendo bene cosa dire. << Io…credo di ricordarmi, ora. C’è stato un problema durante l’Adunanza, vero? >> Era la conseguenza più logica, data la situazione: a Damer, morto un re, i suoi vassalli diretti si riunivano nella capitale per eleggere re colui che ritenevano più meritevole tra i figli adulti del defunto; non era mai accaduto nelle tre precedenti Adunanze, ma sarebbe potuto benissimo capitare che l’Adunanza si spaccasse in due a supporto di due diversi candidati. Cercando di non far caso all’ennesima informazione intrusiva, Andrea concluse che doveva per forza essere accaduto qualcosa del genere.
Elyanirith annuì, un timido sorriso che si faceva spazio tra gli occhi lucidi. << Allora qualcosa ancora ti ricordi…Sì, è accaduto tutto durante l’Adunanza. Vedi, Emoreth, i più vecchi dei nostri tre fratelli, Radil ed Hidil, sono due gemelli, e si odiano a morte; papà, sapendo che avevano entrambi molti ammiratori tra i nobili, e temendo che la loro rivalità avrebbe spaccato l’Adunanza e portato alla guerra civile, promulgò una legge. Questa legge, sorella mia, imponeva all’Adunanza d’accettare come re chiunque il defunto sovrano avesse eventualmente indicato come suo successore; come immaginerai, papà proclamò il nostro terzo fratello, Reth, suo erede. Purtroppo, una volta morto lui, i nobili, gelosi dei loro privilegi d’elezione, fecero imprigionare Reth e s’Adunarono lo stesso ad Anor Dion; lì, avvenne ciò che papà aveva temuto: Radil ed Hidil accumularono ognuno pari consensi e l’Adunanza, incapace di convergere su uno dei due nomi, si frantumò. Ora, la maggior parte di loro ha preso le armi accanto al suo principe prediletto, ed una minoranza ha fatto fuggire Reth dalle carceri, essendosi accorta che l’elezione di uno degli altri due avrebbe portato alla catastrofe. >>
Quindi si trovavano in uno stato di guerra civile. << Comprendo, ma…come mai ci troviamo sotto assedio? >> S’intromise a quel punto Andrea. << Sua Altezza…Reth non avrebbe potuto dar battaglia? >>
<< Lo ha fatto. >> Rispose Elyanirith. << Tre mesi fa. Il problema, vedi, è che Radil ed Hidil hanno stretto un’alleanza provvisoria per annientare Reth: per il popolo la parola del re vale molto, ben più delle beghe dei nobili, e per loro nostro fratello è il legittimo sovrano; se non vogliono avere disordini sociali nei territori sotto il loro controllo, perciò, Radil ed Hidil devono per forza uccidere Reth e rendere il trono vacante agli occhi di tutta la gente di Damer. >>
Andrea annuì, impaurita: aveva studiato molti avvenimenti simili, ma sapere di essere nel bel mezzo d’uno di questi le bloccava lo stomaco.
<< Hanno quindi fatto finta di darsi battaglia ad Emad Hiriyaelya, ad una cinquantina di chilometri da qui. >> Riprese Elyanirith. << Purtroppo, i generali di Reth lo avevano convinto ad appostare il suo esercito nelle vicinanze, in modo da piombare poi sui nemici già stanchi; non oso pensare come si sia sentito, quando all’improvviso entrambi gli eserciti sono calati su di lui. >> Concluse con tono funereo.
L’esercito perduto, Reth ripiegò verso la città portuale di Diyar, dove si barricò per resistere al sopraggiungere dei fratelli. Per Andrea fu uno sforzo non storcere la bocca all’affacciarsi di un'altra, ennesima informazione venuta da chissà dove, cosa irritabile soprattutto per il fatto che le giungeva con il tono passato tipico d’un fatto storico, mentre lei stava vivendo quei fatti. Perlomeno ora conosco il nome di questa città senza dover chiederlo ad Elyanirith, si disse: sicuramente sarebbe stato ritenuto troppo sospetto che lei non conoscesse nemmeno come si chiamasse la città, amnesia o no.
<< Il resto lo intuirai da te, se ancora non te lo sei ricordato Emoreth. >> Si fece spazio la voce di Elyanirith fra i suoi pensieri. << Siamo assediati da più di due mesi, ed ormai i nostri indegni fratelli hanno finito di costruire le prime macchine d’assedio, come quella che ha lanciato il sasso che t’ha colpita. >> La sua voce era a metà fra l’affranta e l’acida. << Perlomeno, non abbiamo problemi di vettovagliamento. >>
<< Ah, no? >> Domandò Andrea ancor prima di rendersene conto: Diyar era una grande città, le dicevano le sue misteriose informazioni, e due mesi d’assedio sarebbero dovuti bastare per creare le prime crisi di cibo.
<< Non lo hai presente? >> Chiese Elyanirith un poco stupefatta. << Il porto di Diyar è praticamente l’unico degno di questo nome di tutto Damer: dato che non abbiamo vai avuto interessi oltre oceano, qui, nella nostra più importante base commerciale, stanno quasi tutte le navi del regno. Perciò, è stato facile per noi sbaragliare la flotta residua e creare un nostro flusso commerciale via nave. >> Elyanirith sottolineò il fatto con un gesto della mano. Poi, il volto che ora esprimeva preoccupazione, s’avvicinò ad Andrea per accarezzarla teneramente. << Comunque sia, quest’amnesia mi preoccupa, Emoreth: non credevo ti fossi dimenticata proprio della peculiarità per cui Diyar è famosa. Spero davvero che Emadnin trovi subito tempo per te, quando lo richiamerò. >>
Andrea sperò di non essere arrossita: questa volta la sua misteriosa – e maledetta – fonte non le aveva detto nulla! Un altro scivolone così, si rammentò, e tutto il teatrino sarebbe caduto, amnesia o no. Doveva trovare un argomento che distogliesse Elyanirith da quei pensieri, e subito.
Pensando proprio al riguardo, s’accorse come di colpo che finora era rimasta rinchiusa in una camera da letto a parlare mentre attorno a lei era in corso un assedio; non che volesse davvero esserne cosciente, ma era di sicuro un ottimo argomento deviatore.
<< Io…non preoccuparti, Elyanirith.>> Esordì quindi, alzandosi dal letto nel modo più disinvolto che potè. << Credo che certi vuoti nella memoria siano normali; anzi, ti dirò che, tutto sommato, mi pare di stare meglio, almeno abbastanza da potermi muovere da sola per le strade; forse non ci sarà bisogno che maestro Emadnin mi visiti di nuovo, dopotutto. >>
<< …Ti senti meglio? >> Replicò Elyanirith, esitante; visibilmente combattuta, la osservò per un po’ in silenzio prima di parlare di nuovo. << Speriamo sia così. Non che non creda alle tue parole, Emoreth, >> aggiunse sorridendo, << ma su certe cose penso sia meglio essere prudenti. Però, non mi pare neanche giusto non tenere in considerazione la tua opinione. >> Sbottò un attimo dopo, come se il volto preoccupato di prima non le fosse mai appartenuto. Era una donna dal temperamento focoso ed incostante, s’accorse Andrea; inaspettato, per una persona d’aspetto tanto delicato. << Sai che ti dico? >> Proseguì, imperterrita. << Usciamo da qui, e facciamoci un giro nel castello: male che vada, migliorerai in ogni caso. >>
Senza aggiungere altro, la principessa cinse il braccio d’Andrea e la trascinò letteralmente alla porta senza chiederle altro: e quella era la stessa donna che un minuto prima era tanto esitante? Mentre uscivano insieme dalla stanza, Andrea decise che avrebbe dovuto far attenzione al carattere di Elyanirith, dopotutto.
Il corridoio che s’aprì loro fuori dalla stanza era ampio ed illuminato da molte piccole finestre, le pareti coperte da arazzi ed i pavimenti di tappeti, delle porte che di tanto in tanto apparivano lungo la parete senza finestre: evidentemente, si trovavano in un’ala del castello riservata agli ospiti – cosa logica, dopotutto -. Oltrepassando domestici in livrea bianca ed azzurra ed imboccati uno o due corridoi laterali, le due donne furono presto in vista d’una tromba di scale, ma si trovarono il percorso bloccato da un improvviso viavai di servitori che trafficavano tra le scale ed alcune porte intarsiate, evidentemente gli alloggi d’un personaggio di riguardo.
<< …Per Nereth Che Rende Fertile la Terra, ma cosa sta succedendo?>> Rantolò Elyanirith, palesamente stupefatta. << Quelli sono gli appartamenti di Reth, e… >> Si fermò di colpo, come se avesse intuito qualcosa. << …Che Annath gli faccia tremare la terra sotto i piedi! Seguimi, Emoreth, ho un brutto presentimento. >>
Detto questo, portò – o meglio, trascinò – Andrea verso una delle porte, i domestici che scattarono a farle spazio non appena la videro, rivolgendole rapide riverenze prima di proseguire il loro lavoro.
Le due giunsero quindi in un’ampia stanza soleggiata con grandi vetrate che davano su un giardino più in basso, mobili, tavoli, sedie, poltrone ed un caminetto spento in marmo: la stanza da giorno d’un complesso più ampio. Dentro la stanza c’erano, oltre ai domestici, un giovane sprofondato su una poltrona, vestito con abiti di seta rossa ricamati d’oro, due uomini in armatura, uno giovane ed uno vecchio, ed una donna anziana in un abito di seta blu; vista Elyanirith, il più giovane dei due armati le sorrise, andando loro incontro.
<< Elyanirith, >> esordì questi, un uomo alto sui venticinque anni, i capelli castani mossi ed il volto accuratamente rasato, << stavo per mandarti a cercare: Reth ha… >>
<< Immagino cos’abbia fatto Reth, Diras. >> Ringhiò Elyanirith, quasi senza degnare l’uomo d’uno sguardo, i freddi occhi verdi piantati sul giovane sulla potrona. << E sentiremo tutto da lui. >>
Detto questo, lasciò il braccio d’Andrea per raggiungere a grandi passi quel giovane, mentre Diras si scostava per lasciarle strada, sorridendo. Andrea aveva sempre avuto una buona memoria, ed il nome dell’uomo le aveva fatto subito tornare in mente la sua conversazione con Elyanirith nell’altra stanza: Diras era il marito della principessa; probabilmente, pensò Andrea, il modo freddo con cui l’aveva trattato era un buon indicatore della sua furia. Ma che cos’aveva fatto Reth di tanto grave? E cosa significava quel viavai di servitori? Questa volta, le misteriose informazioni d’Andrea non si fecero vive.
Elyanirith, raggiunto il giovane, non sprecò parole, ma lo prese per la giubba e, costrettolo ad alzarsi in piedi, lo trascinò dove Andrea e Diras si trovavano, tallonata dai due anziani. Il giovane era un poco più basso di Elyanirith ed anche di Andrea, le quali non erano particolarmente alte, ed aveva lisci capelli biondi che gli coprivano metà schiena e due vividi occhi azzurri, la pelle chiara coperta da un filo di duri muscoli.
<< Emoreth, >> esordì Elyanirith, il tono apertamente sarcastico, << hai l’onore d’essere al cospetto di Sua Altezza Reale Reth Hadilin Hesnanian, Principe di Diyar, Primo Generale della flotta del regno ed Erede Designato di re Hadil Hirilin Hesnanian alla Corona di Damer. Reth, >> proseguì, voltandosi verso l’uomo biondo, << lei è nostra sorella di sangue Emoreth Antayaelin: salutala, poi faremo i conti. >> Concluse minacciosa.
Il venire a sapere che lei era una bastarda reale fece alzare le sopracciglia dei due armati e della nobildonna, oltre ad occhiate sgranate e bocche aperte da parte della servitù – Andrea li aveva visti con la coda dell’occhio -, ma l’uomo dai lunghi capelli biondi – Reth – semplicemente grugnì, prima di chinare il capo e mormorare: << E’ motivo di gioia per me conoscerti, sorella: ti do il benvenuto nel mio castello ed al mio focolare. >>
<< Non so come esprimere la mia gioia per aver conosciuto Vostra Altezza ed essere ben accetta alla Sua presenza. >> Rispose sorridendo Andrea, inchinandosi ed alzando le gonne: che fosse ad un passo dall’essere sbranato da Elyanirith o meno, lei non aveva alcuna intenzione d’essere scortese con il principe.
[Modificato da Demandred 26/01/2009 17:43]

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"Il profilo aquilino era abbastanza attraente, anche se non proprio del tipo che faceva accellerare il cuore delle donne. In ogni modo, 'abbastanza' e 'non proprio' avevano sempre fatto parte della vita di Demandred."
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