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26/01/2009 17:45
 
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Parte II
Appena Andrea ebbe finito di parlare, Elyanirith proseguì con fare fin troppo spiccio le presentazioni; evidentemente, le premeva dare una lavata di capo a Reth quanto prima. Comunque fosse, Andrea seppe così che l’uomo anziano in armatura, un vecchio canuto sui sessant’anni, stempiato e con dei baffi rigogliosi era Maelserin Hinmaelin Neminian, Duca di Diyarhema in nome di Reth – praticamente il suo castellano – e membro dell’Adunanza; la nobildonna, invece, una signora dai ricci capelli castani ingrigiti ed il cipiglio d’un falco era la moglie di questi, Eyirian Ressayelin Lyrieian. Infine, le fu presentato il giovane di prima, Diras Goryaeran, Principe di Hemannin nonchè primogenito dell’erede al trono di Gorya. E marito di Elyanirith, ovviamente.
<< Da loro non esiste un’Adunanza, >> le disse a quel punto Elyanirith, evidentemente per informarla della curiosa anomalia, << ed a succedere al re defunto è il suo primogenito; in pratica, quando suo nonno e suo padre moriranno, sarà lui il re di Gorya. >>
Questo voleva dire che Elyanirith, essendo sua moglie, un giorno sarebbe diventata regina; Andrea trovò indicativo il fatto che la principessa non evidenziasse questo fatto: ormai iniziava a credere che la donna rifuggisse gli onori come la peste.
<< Bene. >> S’intromise subito Elyanirith non appena le presentazioni si conclusero. << Le formalità sono state esaudite. Ora, >> proseguì, voltandosi verso Reth, << sarei curiosa di sentire la tua versione dei fatti riguardo questo stato di cose, fratello caro. >>
<< Non ho altra scelta, Elyanirith, davvero. >> Sospirò subito Reth, alzando le braccia: era evidente che s’era aspettato una domanda del genere, dato che aveva già la risposta pronta. << Radil ed Hidil stanno per attaccare – quel lancio di pietre di prima preannunciava questo – e noi non siamo abbastanza per affrontarli, lo sai. E poi, >> aggiunse esitante, << anche l’Oracolo ha dato un responso negativo. >>
<< …L’Oracolo? >> Domando incuriosita Andrea, prima di accorgersi dell’errore: qualunque cosa fosse, doveva essere nota a Diyar, ovviamente. Ma perché quelle dannate informazioni non giungevano, quando servivano davvero?
<< Il tempio sacro al dio Annath, sul promontorio, ovviamente. >> Le rispose, dopo un attimo di silenzio generale, la duchessa di Diyarhema – Eyirian, questo era il suo nome, si rammentò - . << Credevo fosse un luogo noto, tanto più che è molto frequentato anche dal popolo; sei giunta in questa città di recente, Emoreth Antayaelin? >> Domandò quindi; fu palese il suo intento di distacco, dato che le aveva negato anche il più formale dei titoli onorifici, quasi a ricordarle che, figlia di re o no, lei non era nobile.
<< Emoreth è stata colpita da una pietra lanciata dagli assedianti or sarà un sesto di marea, Vostra Signoria. >> Intervenne Elyanirith per Andrea, salvandola da uno smascheramento palese ed impedendole di rispondere per le rime a quella vecchia maleducata: copertura o no, non le era mai piaciuto che qualcuno le mettesse i piedi in testa; o forse non l’avrebbe fatto: l’informazione appena giuntale in seguito al termine “un sesto di marea” – una misura di tempo tipica di quelle zone marinare, in quel caso indicava circa un’ora – aveva subito catturato tutta la sua attenzione.. << Il trauma pare le abbia procurato una parziale amnesia, ma credo stia già guarendo. >> Concluse la principessa.
La notizia portò ad Andrea i più o meno sentiti auguri di tutti i presenti, che lei accolse ringraziando formalmente, e solo dopo di ciò il discorso riprese.
<< Sono stata io stessa al tempio. >> Puntualizzò la duchessa Eyirian, indicando un ramo di mirto intrecciato di lana blu posato sul tavolo: il simbolo dei supplici. << Chiesi quindi all’oracolo se avremmo vinto, ma il responso fu il seguente: “Mai Nereth vi concederà di percorrere vittoriosi la terra insanguinata”. >> Declamò atona, per poi guardarsi triste i piedi una volta finito di parlare.
<< E’ una predizione di sconfitta. >> Puntualizzò Reth, come se ce ne fosse bisogno: Nereth era il dio della terra, ed era il maggior protettore degli eserciti che combattevano sul suo dominio, cioè il campo di battaglia; era ovvio che la sua inimicizia determinasse la sconfitta. << Ho già ordinato di portare le nostre cose sulle navi migliori. >> Continuò il principe, indicando il viavai di domestici. << Pensavo di rifugiarmi dal padre di tuo suocero, il re di Gorya; mi accoglierà bene, dato che potrei sposare una delle sue nipoti: tu lo sai bene, dato che sei tornata a Damer con tuo marito proprio per propormi quest’offerta. >> Concluse, un sorriso tirato che cercava inutilmente di stemprare il clima.
<< Un altro matrimonio con la Casa di Hesnan per risolvere definitivamente la questione dell’Arcipelago di Erantha. >> Convenne Elyanirith, scura in volto. << Ammesso che non cambi idea, dato che ormai non hai più alcun potere militare con cui conquistare il trono di Damer. Ma a parte questo, Reth, vuoi lasciare Diyar in balia a Radil ed Hidil? Che Annath ti faccia naufragare, lo sai che questa città è un simbolo della resistenza in tuo nome, il tuo fedelissimo feudo che ti ha sempre sostenuto: raderanno al suolo la città ed uccideranno tutta la popolazione, non negare di saperlo!! >>
<< Lo so, >> ammise Reth con un filo di voce, simile in tutto e per tutto ad un topolino impaurito, << ma non ho altra scelta. Anzi, >> azzardò, tutt’altro che sicuro, << se me ne vado, forse risparmieranno gli abitanti. Che altro potrei fare, rimanere qui per lasciarmi uccidere? Elyanirith, pure il dio mi ha predetto la sconfitta! >>
<< Ad Astath la predizione! >> Sbottò Elyanirith, infuriata. << Ci dev’essere un modo!! Io…>>
<< In effetti, un modo forse c’è. >> S’intromise Andrea, quasi senza accorgersene; al sentirla, però, tutti si voltarono verso di lei, e sotto quegli occhi inquisitori la donna fu sospinta a concludere il suo pensiero, volente o nolente. << Ecco, il fatto è che Sua Signoria ha chiesto se vinceremo, non come: in altre parole, ha chiesto quale sarebbe stato l’esito se ci fossimo affidati agli attuali piani dei nostri strateghi. >> A furia di sentir parlare d’oracoli, ad Andrea era venuto in mente Temistocle di Atene alle prese con quello di Delfi: era da lì che era partita quest’idea. << Se qualcuno formulasse quest’altro quesito, insomma, può darsi che il dio ci dia dei consigli capaci di capovolgere la situazione. >>
<< …Ma è una magnifica idea!! >> Esplose subito Elyanirith. << Hai sentito, Reth? Sono sicura che Annath saprà aiutarci, ponendola così! >> Nel dirlo, sorrise al fratello come una bambina spensierata.
<< Io non sono sicuro che…>> Borbottò esitante Reth, ma la principessa non gli badò: prese il ramo di mirto senza chiedere a nessuno e subito fermò un servitore, ordinandogli di far preparare alle stalle due giumente fresche e due veli festivi; dopo che l’uomo scomparve in un labirinto di scale, Elyanirith si rivolse ad Andrea. << Verresti con me, Emoreth? Dato che sei stata tu ad avere quest’idea, mi parrebbe giusto che tu ci sia. E poi, avrò bisogno di compagnia. >>
<< Oh…certamente. >> Farfugliò Andrea istintivamente, ma anche quando comprese quanto aveva detto, non si ritirò: in realtà, bramava vedere quel tempio oracolare. << Verrò con Vostra Altezza appena vorrà. >>
<< Oh, non essere così formale. >> L’ammonì bonaria Elyanirith, cingendole il braccio. << E comunque, io voglio andarci adesso: vieni, è già tutto pronto, dato che siamo già vestite per uscire. >>
Implacabile come un tornado, la principessa trascinò Andrea giù per corridoi, scale e porte, finchè raggiunsero le stalle dopo aver percorso un giardino fiorito; li trovarono un giovane stalliere che le stava attendendo, che porse loro le redini e due ampi fazzoletti di seta azzurra decorata di bianco: erano i veli festivi richiesti da Elyanirith, degli oggetti che la gente di Damer, uomini e donne, si poneva sul capo quando andava al tempio per le festività religiose, o comunque ogniqualvolta doveva dirigersi verso un luogo sacro.
Postesi entrambe un velo in testa per evidenziare il loro stato di pellegrine, Elyanirith si mise subito in sella, all’amazzone, imitata un attimo dopo da Andrea; uscirono quindi dalle stalle, ed in un paio di minuti furono al portale del castello, il quale dopo un poco venne aperto per lasciarle passare: le proteste del capoguardia nulla erano valse sulla volontà della sua principessa.
<<…Come mai non vuoi una scorta? >> Riuscì a chiederle Andrea mentre percorrevano il ponte levatoio: era quello l’argomento sul quale il soldato aveva insistito, ma Elyanirith non s’era degnata di dare spiegazioni.
<< Radunare una scorta richiede tempo, >> le rispose pigramente la principessa, << e noi non ne abbiamo affatto; ad essere sincera, non vorrei che Reth prendesse il largo prima del nostro ritorno: non abbiamo davvero tempo da perdere, sorella. >> Detto questo, Elyanirith aggrottò le sopracciglia e spinse il cavallo al galoppo: un chiaro segno di nervosismo, pensò Andrea nell’imitarla.
Superata la prima via di terra battuta, occupata dalle case e dai magazzini dei mercanti e dalle locande più care – il quartiere ricco: il porto era poco distante, in modo da servire meglio il castello, e chi faceva affari si trovava quindi in una comoda posizione nel risiedere presso il maniero – , le due s’immisero nella grande piazza del mercato, brulicante di gente d’ogni estrazione sociale; nel superare la folla, Andrea s’accorse che la gente faceva loro spazio, pur essendo due donne sole: era naturale, il popolo era terrorizzato dal commettere il sacrilegio d’importunare dei supplici, la informò la sua testa. Quindi Elyanirith aveva sicuramente messo in conto anche questo nel decidere di rinunciare alla scorta, sospirò.
Superarono il quartiere degli artigiani, il rumore del lavoro che riempiva le orecchie, i templi svettanti dipinti di colori vivaci e scene del mito, l’enorme complesso della Scuola e case di pietra e legno; cavalcarono tra scenari benestanti e popolari per un buono quarto d’ora finchè, oltrepassata un’ultima via, cominciarono a salire una modesta collinetta costeggiata da tanti, piccoli cippi votivi, l’odore del mare vicino ed il rumore delle onde che s’infrangevano sulla scogliera a strapiombo che aumentavano via via che avanzavano. Raggiunta la cima due minuti dopo, davanti alle due si presentò un grande complesso a ridosso del colle a strapiombo sul mare, una serie di edifici posti tra loro a ferro di cavallo, tutti dipinti con tonalità varie del blu e dell’azzurro; subito, videro spuntare da un lungo edificio a destra una ragazzina adolescente dai capelli neri che corse verso di loro per prendere i cavalli; il suo vestito lungo di lana blu la identificava come vergine iniziata del tempio: evidentemente, era il suo turno di badare alle stalle.
Elyanirith neanche badò alla giovane, e lasciò che prendesse gli animali mentre si dirigeva con passo svelto verso l’edificio più lontano, un lungo colonnato coperto dal buio; Andrea s’affrettò subito a raggiungerla.
Il tempio, s’accorse, non aveva porte, ed una luce soffusa proveniva dalle rade vetrate azzurre poste sul tetto, una luce azzurrognola molto evocativa; lungo i lati della costruzione c’erano delle ampie nicchie entro cui erano custodite le offerte dei vari regni che periodicamente attraversavano il mare per consultare l’Oracolo: non era obbligatorio fare offerte, ma un monarca ben sapeva quanto fosse preziosa l’amicizia del tempio. Proprio da una di quelle fuoriuscì un vecchio barbuto coperto da un’ampia veste di seta azzurra ricamata, un sacerdote, il quale, visto il mirto, con un sorriso venne loro incontro e fece quindi strada; l’Oracolo si rivelò trovarsi alla fine del tempio, separato da esso da un muro affrescato color blu ed azzurro, raggiungibile superando una cancellata di bronzo istoriato laccato d’azzurro e decorato da coralli. Oltrepassato quel cancello, Andrea si ritrovò in un ambiente circolare, in realtà una grotta artificiale scolpita nella roccia, illuminata da un’apertura circolare in alto; la luce illuminava uno strapiombo anch’esso circolare, dell’acqua di mare che brillava oscura sul suo fondo, al centro del quale, su una specie d’isoletta rocciosa, stava seduta su un trono scolpito nella roccia salmastra una vecchia dai capelli bianchi, vestita con un lungo abito di seta azzurra e bianca: la sacerdotessa oracolare. Attorno a lei c’erano dei grossi vasi di bronzo lavorato, i quali amplificavano il rumore delle onde del mare.
<< Sono giunta qui per interrogare il dio, Oracolo. >> Le disse senza preamboli Elyanirith non appena la vide; lei non s’era soffermata sull’aspetto del luogo: evidentemente c’era già stata. << Egli ci ha detto che non abbiamo possibilità di sconfiggere chi sta minacciando la nostra città, però è palese che intendesse che i nostri strateghi non possono farlo; perciò, rispondimi: esiste un modo grazie al quale potremmo vincere? >>
La sacerdotessa sbattè le palpebre a quella domanda: non era una cosa che le venisse chiesta facilmente, ipotizzò Andrea; comunque fosse, lo sconcerto della vecchia durò un attimo, e subito dopo s’afflosciò sul trono chiudendo gli occhi. Andrea non avrebbe saputo dire per quanto tempo il silenzio dominò su di loro, interrotto dal solo fragore del mare; dopo quella che le parve un’eternità, la sacerdotessa riaprì gli occhi, risistemandosi sullo scranno.
<< Questa terra ha sempre tratto la sua forza dal mare. >> Disse solennemente la vecchia con voce piuttosto bassa per una donna. << Il dio sa quanto fragili siano le mura di Diyar contro questi invasori, ma forse il mare può opporsi a loro. Però nemmeno il dio può darvi la certezza della vittoria, anche se il mare vi fosse accanto. >>
Elyanirith incurvò le labbra, evidentemente contrariata dalla risposta, ma il vecchio sacerdote che le aveva accompagnate le si pose davanti facendole un inchino: chiaro segno che l’udienza fosse terminata.
Furiosa, Elyanirith uscì dal tempio a grandi passi, seguita da una trotterellante Andrea; una volta uscite, però, si trovarono davanti a loro il principe Diras, il marito della principessa, seguito da una dozzina di cavalieri armati di tutto punto.
<< Reth è salpato poco fa, Elyanirith. >> Disse loro l’uomo prima che potessero parlare. << Ma ha lasciato una nave per noi: vuoi seguirlo? >>
La principessa spalancò la bocca alla notizia, evidentemente troppo colpita per articolare qualunque frase; Andrea, invece, non se ne stupì più di tanto: il principe di Damer non le era parso affatto un coraggioso, e questa sua decisione semplicemente confermava i suoi sospetti.
<< Le Loro Signorie di Duchi di Diyarhema sono salpati con lui? >> Chiese allora lei, senza attendere che Elyanirith si riprendesse: era meglio informarsi il più completamente possibile.
<< Il duca Maelserin? >> Rispose ironico il principe, sorridendo. << No, per quel vecchio senza figli questa terra è troppo preziosa: è rimasto per combattere, e sua moglie lo ha seguito tra i soldati. >>
<< …Allora andremo lì pure noi. >> S’intromise allora Elyanirith, improvvisamente ripresasi. Al vedere gli occhi fuori dalle orbite del marito in risposta alla sua decisione, sbottò: << Non guardarmi in quel modo, Diras! Non lascerò morire questa gente come se nulla fosse, e non mi servirebbe a nulla restarmene nel castello: anzi, dato che l’Oracolo ci ha fornito una qualche risposta, ci andrò proprio per comunicarla, capito?!! >>
Furiosa come non mai, Elyanirith raccolse quindi le gonne e si diresse a gran carriera verso le stalle; Andrea decise di non seguirla: non voleva assistere alle pene della povera stalliera alle prese con la furia selvaggia della principessa.
<<…L’Oracolo vi ha risposto? >> Le chiese in un soffio Diras, mentre seguiva con gli occhi sua moglie.
<< Sì, >> ammise Andrea, << ma io non l’ho trovato di grande utilità. >> Il mare non era il legno di Temistocle, si disse depressa: cos’avrebbero potuto fare, loro?
Un minuto dopo Elyanirith tornò, seguita da quella ragazzina di prima, la quale portava le loro due giumente; furono in sella in men che non si dica, e tutto il gruppo percorse al galoppo le vie della città, ora sgombre: durante il tempo che loro erano rimaste nel tempio, ipotizzò Andrea, qualcuno doveva aver avvisato la popolazione, la quale s’era quindi rinchiusa chissà dove. Galopparono fino agli estremi della città, dove le case finivano e cominciavano gli alloggiamenti dei soldati e le mura di pietra grigia all’orizzonte; raggiunta la cancellata principale, lasciarono i cavalli esausti alle cure degli stallieri e lei, Elyanirith e Diras s’affrettarono a salire le scale del torrione, finchè raggiunsero i duchi di Diyarhema con i generali dell’esercito sulla passeggiata.
<< Buona giornata a voi, mi piacerebbe dire. >> Disse il duca Maelserin non appena li vide. << Ma sappiamo tutti che non è tale; come mai non avete seguito il principe, Vostre Altezze? >>
<< Non intendiamo lasciar morire la città senza far nulla, Vostra Signoria. >> Ansimò Elyanirith, non meno irritata di prima. << Inoltre, ho ottenuto un responso dall’Oracolo: “il mare può opporsi agli invasori”. Non ho idea di cosa significhi, ma mi pare giusto non abbandonare questa possibilità alle onde. >>
A queste parole fece eco un silenzio assordante: tutti si guardavano smarriti, ma nessuno pareva avere la più pallida idea di che cosa significassero quelle parole; ad un certo punto però si fece avanti uno dei generali, un uomo brizzolato e ben rasato, sulla cinquantina, che mormorò: << Forse…il dio potrebbe aver alluso al canto militare. >> Mugugnò, scettico. << Prima di ogni battaglia, s’eleva sempre una lode a Nereth; se però noi la elevassimo ad Annath, che è il mare…non ne sono convinto, ma forse questo permetterà al dio d’infondere forza ai nostri soldati. >>
<< …Dà ordine di farlo, allora. >> Rispose asciutto il duca. << Perlomeno, è una deduzione sensata: voglia Annath che sia davvero così, perché lui sa quanto pochi siamo. >>
E così fu: quando i corni risuonarono nell’aria, una mezz’ora dopo, dai ranghi raccolti attorno agli stendardi aventi ricamata la nave bianca ed oro su sfondo rosso che Andrea aveva già visto, lo stendardo della Casata di Nemin, s’elevò un canto melodioso e struggente.

Oreye syenae
Tu che con le onde possenti
yoen arenoi dirhialenoi ayan hema,
fai tremare tutta la terra,
antara dirine
signore delle maree,
direnyenai nesye, yai ainai ashenen
protettore dei naviganti, della nostra vita
vahoroi enyren sya. Ayn sya tesya
abbi pietà. Lascia che noi percorriamo
aimorsenye ai aliyanin dirin, dirhiali
la distesa marina, le onde
rhonei dirieni ertheni aiteneryen
alte ed i mari furiosi placa.
Eya syan ayn, arlenai dersena ainai aihenen,
Noi ti preghiamo, dei nostri avi giudice severo,
vahen ayane enyren yan nyorano dirie lymnai.
Abbi pietà di noi innocenti che siamo in pericolo nel
[mare


Non che fosse il canto più indicato per un esercito che stava per andare in battaglia, trovò Andrea, ma d’altronde chi avrebbe mai potuto pensare di creare un’ode militare ad una divinità marina?
Il sibilio delle pietre lanciate dalle catapulte interruppe quel suo filo di pensieri: gli assedianti s’erano mossi, ed anche il suono grave delle buccine testimoniò l’inizio della battaglia; Diyar ed il duca Maelserin s’affrettarono a raggiungere i loro distaccamenti, mentre la duchessa Eyirian condusse lei ed Elyanirith nella torre centrale delle mura: ora che gli eserciti s’erano mossi, potevano solo sperare.

Il sole rosso del tramonto illuminava la grossa breccia che le mura avevano subito, circondata da centinaia di corpi di uomini d’entrambi gli schieramenti; alla porta d’ingresso della città, sfondata, Andrea era in sella sulla sua giumenta, accanto ad Elyanirith ed agli altri nobili del loro esercito. La battaglia, inevitabilmente, era stata perduta: loro erano ancora vivi solo perché un nastro nero – la loro concezione di bandiera bianca – era stato posto sullo stendardo ed un messaggero era stato inviato per chiedere un incontro; Andrea si sentiva lo stomaco pieno di piombo fuso al solo pensiero che la sua vita era appesa dalle parole che sarebbero state dette.
Radil ed Hidil, due gemelli monozigoti con lunghi capelli biondi come i loro fratelli, il primo che li teneva raccolti con una coda di cavallo e l’altro sciolti, stavano ritti sui loro cavalli con il loro seguito; d’altezza media e molto muscolosi, erano appena giunti per parlare.
<< Quell’appello all’Oracolo di Diyar che c’era nel messaggio è una tua trovata, Elyanirith? >> Chiese Hidil sorridendo; Andrea sapeva distinguerli: la principessa gliene aveva parlato mentre li attendevano. Ed aveva anche detto che, laddove Radil era ammirato per la sua serietà, la qualità maggiore di Hidil era l’essere di compagnia.
<< Ed anche se fosse? Vi è stato semplicemente ricordato che la città è sacra al dio, Hidil. Oppure siete anche sacrileghi, oltre che usurpatori? >> Ringhiò Elyanirith di risposta; teoricamente, il signore di Diyar era il vecchio Maelserin, ma la principessa non ci aveva messo molto a prendere le redini della situazione.
<< Se la giustizia passa per il filo della spada, gli usurpatori siete voi. >> Replicò Radil asciutto, citando un passò dell’Arlauneian, un loro libro sacro che Andrea riteneva essere una via di mezzo tra i poemi omerici e la Bibbia, come valenza per quel popolo. << In ogni caso, siamo venuti qui proprio perché timorosi del dio. >>
<< Questo vuol dire che ci dirigeremo piamente tutti al tempio, mentre i nostri soldati prenderanno possesso delle porte della città e terranno d’occhio i prigionieri fino al responso oracolare. >> Aggiunse Hidil, chiudendo la questione. <> Aggiunse subito, facendo gesto con la mano al suo seguito.
Andrea lasciò docile che i due fratelli ed i loro generali prendessero la testa della processione, mentre i loro armigeri li accerchiavano come una degradante scorta d’onore; istintivamente, cercò Elyanirith con gli occhi: la donna era rigida e fredda, una maschera indecifrabile, ma Andrea non si sarebbe stupita nel sapere che era turbata quanto lei nel vedere i due accettare tanto facilmente l’imposizione. Era vero che fosse sacrilego assalire una città sacra, ma la principessa le aveva confidato di ritenere quella carta un’ultima spiaggia: Radil ed Hidil erano già andati contro l’opinione popolare vanificando le ultime volontà del loro padre, ed una città sacra rasa al suolo non avrebbe fatto chissà quale differenza, a quel punto; forse intendevano riacquistare consenso tra la gente, ipotizzò con pochissima convinzione.
Quel corteo improvvisato d’una cinquantina di persone a cavallo percorse lugubre le vie deserte della città, il rumore degli zoccoli dei cavalli che riempiva l’aria; ogni tanto, Andrea intravedeva alcune persone sbirciare impaurite da fessure tra le ante delle loro finestre, sicuramente terrorizzate da quella sfilata d’invasori che circondavano i signori locali nell’andare chissà dove.
Raggiunto infine il tempio sul promontorio, Andrea non si stupì neanche di trovare tutti i sacerdoti e le sacerdotesse del tempio fuori dall’ingresso: dovevano aver per forza saputo dell’esito della battaglia, ed il vederli arrivare doveva averli messi in allarme; impauriti non meno di quella gente rinchiusa nelle sue case, si calmarono un poco quando vennero a sapere che erano venuti per far decidere all’oracolo le sorti della città, e non per depredare il tempio.
Lasciati i cavalli sulle stalle, tutti gli uomini si tolsero gli elmi, ed ognuno di loro indossò il proprio velo festivo: evidentemente, il fatto che l’avessero con loro indicava la sicurezza dell’esito del dialogo. Inquietantemente interessante, pensò Andrea indossando il suo, rimasto con lei fin dalla visita di prima.
La processione, adesso a piedi e con i capi velati, seguì allora i sacerdoti attraverso i corridoi del tempio, per oltrepassare quindi i cancelli che portavano alla grotta oracolare; la vecchia sacerdotessa pareva non essersi mossa da lì da quando Andrea l’aveva lasciata, ma il bagliore nei suoi occhi era singolare: percepiva il pericolo che tutti loro stavano correndo in quei momenti.
<< Voce del dio, Oracolo del tempio di Annath, ti prego d’ascoltarmi. >> Intonò Radil, serio e pomposo allo stesso tempo, non appena tutti furono entrati e disposti attorno allo strapiombo circolare. << L’esercito che io e mio fratello comandiamo ha espugnato le mura della città sacra, la stessa che accetta come signore il principe che resiste alle giuste decisioni dell’Adunanza, ed al suo vassallo ribelle che l’amministra; per questi motivi, noi intendevamo incendiare e distruggere le case, passare per filo di spada questa gente indegna e gettare sui campi il sale affinchè, divenuta terra sterile e disabitata, fosse da monito per tutti i ribelli presenti e futuri. Nonostante questo, però, noi giustamente temiamo il dio, ed esitiamo a distruggere questa città a lui sacra. Perciò, io ti domando: cosa ci ordina di fare il dio a noi vincitori? >>
Satura di retorica propagandistica e sfacciata come Andrea s’aspettava, la domanda venne colta dalla sacerdotessa con molta solennità; la vecchia, rimasta in un composto silenzio per alcuni lunghi istanti, s’accasciò teatralmente all’improvviso, gli occhi estasiati rivolti al cielo: davvero, si stava impegnando molto di più rispetto a quando erano venute Andrea ed Elyanirith, pensò la giovane romana.
La sacerdotessa si riprese lentamente alcuni minuti dopo, raddrizzandosi sullo scranno e riportando le pupille a terra con flemma teatrale; alla fine, però, aprì bocca. E disse delle parole che Andrea non avrebbe mai voluto sentire. << Il dio non esercita la giustizia degli uomini: se risparmierete i suoi supplici, egli non cercherà vendetta per la città distrutta. >>
Fu come un segno convenuto, per i soldati invasori: questi furono infatti subito addosso ai membri della delegazione di Diyar, che afferrarono per le braccia per non farli scappare; catturata anche lei come gli altri, pur nella sua folle paura Andrea sentì la risposta di Hidil.
<< Così sia. Soldati, gettate nel pozzo sacro i ribelli: raggiungeremo subito l’esercito per ordinare la distruzione della città, fatta sola eccezione per questo sacro tempio. >>
A quelle parole si sentì mancare le gambe, tanto che venne quasi trascinata verso lo strapiombo; non fu la sola a sentirsi male: la grotta di riempì all’improvviso di grida, urla e preghiere disperate. Ma una in particolare raccolse l’attenzione di Andrea.
<< …Questo non era nei patti!! Non era nei patti!!! >> Urlava, dimenandosi disperata, la duchessa Eyirian. << Io ho portato dei doni da parte vostra al tempio, ho corrotto l’Oracolo affinchè desse un vaticinio negativo per Reth, ci siamo accordati perché decretasse la fine della città…ma in cambio del perdono per la Casa di Nemin!!! Traditori!! Spergiuri!! Non erano questi i patti…Io non voglio morire!! Per Annath, lasciatemi, non voglio morire!!! >>
Quelle parole furono un pugno nello stomaco: la duchessa andata di persona al tempio, il sacerdote appena uscito da una nicchia del tesoro quando loro due erano giunte, le risposte sibilline dell’oracolo…tutto tornava. Andrea si ritrovò a singhiozzare rumorosamente.
Poco più in là, il vecchio Maelserin pareva essere già stato ucciso dalle parole della moglie, trascinato di peso dai soldati verso il pozzo, mentre Diras si dimenava selvaggiamente, gridando con tutto il fiato che aveva il nome di sua moglie, disperato; Elyanirith, da parte sua, guardava vacua verso di lui, pallida e come senza più cognizione. Hidil stava guardando impassibile la scena, mentre Radil s’era voltato, improvvisamente assai interessato alle sue scarpe; la sacerdotessa, dal canto suo, si guardava con aria estremamente colpevole le mani giunte nel grembo.
Quando venivano gettati giù verso il pozzo, gridavano tutti, e quando fu il suo turno Andrea s’unì a quel terrificante coro, certa di stare per morire, ingoiata da quella fredda acqua che riluceva sinistra sul fondo.

********************

L’acqua fredda le morse il viso, facendola ansimare; eppure, non era stato uno scontro violento.
<< …Credo che basti, vecchio Mario: mi pare che Rea abbia aperto gli occhi. >>
Jennifer? Era una voce che le pareva di non sentire più da una vita: era tornata a casa sua?
Una mano forte la capovolse, e riuscì, pur sfocatamente, a vedere un paio di familiari baffi brizzolati; un attimo dopo, quella stessa mano le schiaffeggiò lievemente una guancia.
<< Sì, pare anche a me: gli occhi, perlomeno sono aperti. >> Constatò la voce burbera di Mario, il proprietario de Le Oche Capitoline.
<<…Sono sveglia. >> Riuscì a quel punto a rantolare Andrea: adesso che s’era resa conto di non essere più in una città espugnata, ad un passo dalla morte, avrebbe voluto cantare e ballare. << Sono sveglia. >> Ripetè, deliziata.
<< Sì, ce ne stupiamo tutti noi. >> Disse allegramente Elisa mentre l’aiutava a rialzarsi. << Immagino che neanche Davy Jones sarebbe sopravvissuto a due miserabili, fottute bottiglie di Cuba libre, giusto? >>
<< …Oh, piantala, Elisa: ho la testa che sembra essere appena stata colpita da una scogliera. >> La zittì Andrea, barcollando. << ..Enrico, per favore, sorreggimi: dopo una giornata così, voglio assolutamente essere a casa mia al più presto. >>
Esitando – forse perché fino a poche ore prima avevano litigato -, Enrico mise un braccio di Andrea attorno al suo collo, mentre tutto il gruppo uscì dal locale per uscire nelle strade illuminate dalla luna e dai lampioni.
Camminando barcollante, Andrea intravide quasi per caso il vecchio castello del paese, testimone silente di mille anni d’assoluta apatia paesana; quella sera però non criticò, ma bensì invidiò tale pace.

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"Il profilo aquilino era abbastanza attraente, anche se non proprio del tipo che faceva accellerare il cuore delle donne. In ogni modo, 'abbastanza' e 'non proprio' avevano sempre fatto parte della vita di Demandred."
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